L’approccio del settore vitivinicolo sudafricano alla sostenibilità è molto diverso da quello europeo, soprattutto per quanto riguarda le scelte concrete.
Un’indagine condotta per il Prowine Business Report e ripresa da Wine Business International, ha rivelato che la maggior parte dei produttori ritiene che il pilastro della sostenibilità economica sia quello più importante in cui si ottengono i risultati migliori. Ma sembra essere il pilastro meno affrontato.
In Sudafrica, le sfide economiche sono troppo grandi per non tenere in considerazione la centralità della sostenibilità economica. L’industria vinicola sudafricana ha a lungo oscillato tra vino sfuso a basso costo ed eccellenti vini di alta gamma in un andirivieni costante di crisi e successi.
Contrasti e crisi
Tra il 2011 e il 2021, la superficie viticola del Sudafrica si è ridotta del 10%, scendendo a 90.500 ettari. Il motivo principale è la minore redditività della viticoltura rispetto ad altri prodotti agricoli. Anche il numero di viticoltori è diminuito del 26% nello stesso periodo. Soprattutto i piccoli produttori hanno smesso di coltivare l’uva. Un processo che continuerà a causa delle economie di scala, dal momento che la maggior parte dei produttori di uva (983 o 37,6%) produce ancora meno di 100 tonnellate. Un altro 33,9% non raggiunge le 500 tonnellate.
Anche il numero di cantine è diminuito tra il 2011 e il 2021, scendendo a 536, ma la flessione non è altrettanto forte (- 8%) e la tendenza non è costante. Ad esempio, nel 2021 alcune aziende private hanno riaperto.
Inoltre in Sudafrica è diffuso il fenomeno degli affittuari che non hanno il capitale per gestire una cantina in proprio, ma affittano terreni, strutture e materie prime per produrre, grazie al loro know-how, vini talvolta spettacolari. Di conseguenza, il numero di produttori che entrano nel settore è ancora più alto.
I contrasti estremi dell’industria vinicola sudafricana sono lo specchio dell’intero Paese, la polarizzazione tra ricchi e poveri è molto accentuata. Accanto ad aziende con un’ottima reputazione ci sono giganti addormentati praticamente sconosciuti, accanto ad aziende fiorenti ci sono chiusure di attività a causa della scarsa redditività.
Il tasso di disoccupazione ufficiale raggiunge il 40%, le preoccupazioni per le evidenti criticità sociali vanno di pari passo con quelle relative ai cambiamenti climatici.
No al biologico
Mentre in Europa l’agricoltura biologica e la sostenibilità spesso si intrecciano, in Sudafrica gran parte dell’industria non vuole convertire la produzione al biologico. Uno dei punti principali citati è il costo della certificazione, che gioca un ruolo importante soprattutto nelle esportazioni, perché la certificazione all’estero può essere costosa.
Ci sono anche frequenti lamentele per le condizioni delle aree limitrofe che circondano le produzioni biologiche, secondo i produttori molti sforzi risulterebbero vani in questo contesto. Allo stesso tempo, c’è un grande scetticismo sull’uso del rame per la protezione delle colture. Il diffuso rifiuto dell’agricoltura biologica sembra più pragmatico che ideologico, i viticoltori infatti tendono a rifiutare la viticoltura biologica, ma si dimostrano aperti verso l’agricoltura rigenerativa.
Sì all’agricoltura rigenerativa e alla conservazione degli habitat naturali
Alcuni esempi concreti di agricoltura rigenerativa sono, ad esempio, la rotazione delle colture, la copertura del suolo mediante residui colturali, la riduzione o l’eliminazione dell’impatto meccanico sul terreno, l’utilizzo di fertilizzanti naturali.
In molte zone del Sudafrica le colture di copertura crescono in modo impressionante tra le viti. Due sono i prerequisiti essenziali: la disponibilità di acqua, un aspetto che finora ha ostacolato questa coltivazione in zone estremamente aride e la disponibilità di manodopera.
Un esempio è la Black Oystercatcher di Cape Agulhas. L’azienda agricola di Dirk Human mette gran parte del suo terreno a disposizione delle Nuwejaars Wetlands, una società senza scopo di lucro costituita da 25 proprietari terrieri che gestisce un terreno privato per destinarlo alla conservazione, alla lotta contro il cambiamento climatico e all’agricoltura sostenibile.
Anche la Paul Clüver Family Wines è un ottimo esempio, il 60% dei terreni agricoli è stato trasferito nel 1994 all’interno dell’area di conservazione di Groenlandsberg che fa parte della Riserva della Biosfera di Kogelberg istituita nel 1998 – la prima biosfera del Sudafrica ad essere riconosciuta dall’Unesco.
Questi enormi contributi dei viticoltori sudafricani sono ovviamente legati anche alla disposizione geografica di queste aziende agricole, ma la volontà di destinare buona parte dei propri terreni per la tutela dell’ambiente rappresenta comunque un importante ed evidente contributo alla sostenibilità.
Naturalmente in Sudafrica ci sono anche forti sostenitori della viticoltura biologica, come la Waterkloof Wine Estate di Stellenbosch. Qui si utilizzano cavalli e asini per la coltivazione del vigneto, per evitare di guidare i trattori e compattare il terreno. L’uso di energie rinnovabili, di bio-reattori per il trattamento dell’acqua ed un sistema di riciclaggio efficiente dimostrano l’impegno tangibile di questa realtà.