Il nostro Italian Wine Tour è arrivato in Sicilia. Purtroppo non è il camper Gino ad averci portato nella bellissima terra siciliana, lui si sta riposando per mete più alla sua portata dopo un’estate che l’ha messo a dura prova.
Una meno suggestiva auto a noleggio ci ha portato però in uno dei luoghi più suggestivi di questa incredibile terra, l’agrigentino, e più precisamente a Contrada Favarotta a Campobello di Licata dove la terra è bianca.
E’ in questa terra dove è il gesso bianco a dare il colore al paesaggio, che si trova Cristo di Campobello, l’azienda vitivinicola della famiglia Bonetta.
Non è la prima volta che venivo a trovare Carmelo e suo papà Angelo ma questo non ha diminuito l’emozione di arrivare in un luogo che ritengo per tanti aspetti unico.
Avevo già scritto recentemente che al Baglio di Cristo di Campobello si respira un’aria mistica. Aldilà, infatti, dei credi religiosi o meno, la storica presenza del Cristo ligneo tra le vigne dell’azienda, costante meta di pellegrinaggi, conferisce a questo luogo, inevitabilmente, un’aurea particolare, assolutamente unica.
Se a questo si aggiunge l’entusiasmo contagioso di Carmelo e la straordinaria lucida saggezza di Angelo, per me venire al “Cristo” significa andare ben oltre la normale visita ad un’azienda vitivinicola.
E questo, se mi posso permettere, è il privilegio di chi lavora nel mondo del vino dove le persone, i luoghi, i prodotti rappresentano valori che spesso vanno ben aldilà di quelli riscontrabili in altri comparti produttivi.
C’è solo un grande nemico quando si entra in un’azienda vitivinicola, e questo diventa ancor più grande quando ci si trova in Sicilia: il tempo.
Quando, infatti, gli ingredienti sono luoghi bellissimi, persone generose, affabili, e prodotti pieni di personalità, vorresti poter fermare il tempo.
Mi piace da morire la Sicilia, l’avrò scritto centinaia di volte da quando a inizi del 2000 ho avuto la fortuna per oltre quindici anni di poterci lavorare e passare gran parte dell’anno.
Non è solo questione di bellezza dei paesaggi, del mare, del patrimonio gastronomico infinito, è soprattutto l’atmosfera nel suo complesso che ti sconvolge la vita, ti fa ribaltare le gerarchie.
Se arrivi affannato, pieno di pensieri e preoccupazioni come arrivi su quest’isola succede sempre qualcosa di assolutamente imprevedibile: le ansie ti abbandonano ed entri in uno stato di incredibile benessere.
La Sicilia è terapeutica. O almeno lo è per me ma anche per tante persone che condividono con me questo amore.
Mi è venuta facile ed inevitabile questa divagazione emotiva scrivendo di Cristo di Campobello perché qui quell’atmosfera che prima descrivevo ti pervade già guardando dal finestrino dell’auto il paesaggio che ti circonda. E quando arrivi al grande cancello che si apre tra quei verdi filari di vigne impiantati su quella terra così bianca che con il riflesso del sole quasi ti impedisce di tenere gli occhi aperti, che dire, puoi solo essere felice.
Ma Cristo di Campobello racconta anche un’altra storia che secondo me è importante da sottolineare, cioè l’operosità, il coraggio, la forza di un’azienda, di una famiglia di superare anche gli ostacoli più difficili, quelli che talvolta potrebbero apparire insormontabili.
Non c’è volta che incontrando Carmelo che lui, giustamente, non mi ricordi di suo fratello Mimmo, scomparso improvvisamente nell’agosto del 2015.
In quel ricordo non c’è “solo” il racconto di un lutto ancora non superato, ma il voler ribadire il grande impegno quotidiano per cercare di sopperire ad una mancanza così importante per la sua azienda.
Fin dalla sua nascita vent’anni fa, Cristo di Campobello si è definita un’azienda agrigentina “messa a dimora da tre padri di famiglia”.
Da cinque anni i padri di famiglia sono rimasti in due ma Mimmo è sempre lì a dare il suo supporto e questa, credetemi, non è ben lontana dall’essere un’affermazione retorica.
Ma torniamo alla nostra visita che ci ha consentito, questa volta, enologicamente parlando, di approfondire la conoscenza di un vitigno che finalmente sta ricoprendo il ruolo che merita nell’olimpo dell’eccellenza vitivinicola “bianca” italiana: il Grillo.
Siamo riusciti, grazie alla disponibilità di Carmelo ed Angelo, di degustare alcune annate di Grillo a partire da un memorabile LaLùci 2009 che ci ha letteralmente stesi. Una testimonianza perfetta non solo di quali vertici qualitativi si possono raggiungere con questo vitigno ma anche la sua incredibile potenziale longevità.
“Il Grillo nasce nella Sicilia agrigentina – ci racconta Carmelo – proprio qui a Favara nel 1874 dall’incrocio tra Zibibbo e Catarratto. Per noi è una varietà fondamentale che studiamo da tanto tempo per capire anche le sue diverse espressioni in relazione ai nostri cru. Si tratta, infatti, di un vitigno fortemente sensibile al sito produttivo ed è per questo che si possono trovare diversissime espressioni del Grillo in relazione al terroir di provenienza”.
Quanto ci ha raccontato Carmelo rispetto al Grillo ci ha fatto subito pensare la necessità di preservare e valorizzare al meglio i valori di questo vitigno per evitare pericolose derive subite, ad esempio, dal Nero d’Avola dove non sempre si è riusciti a dare il giusto senso alle sue diverse “anime” in relazione ai luoghi di origine produttiva.
Riuscire a spiegare le diverse identità del Grillo oggi è fondamentale per garantirgli il giusto prestigio, la corretta reputazione.
Qui, nella terra bianca del Baglio del Cristo, il Grillo parla una lingua fortemente legata a questo territorio ma al tempo stesso capace di farsi capire nel mondo.
Usciamo dal Baglio con il sole che sta quasi tramontando. Non siamo mai stati così felici di essere in ritardo.