Trend di consumo in calo, Generazione Z e inflazione: questi sono alcuni dei temi che preoccupano maggiormente in modo traversale molti dei mercati del vino mondiali. Non è esente da questa preoccupazione nemmeno il mercato per eccellenza per il vino italiano: gli Stati Uniti. 

Per comprendere meglio quali sono i possibili ostacoli e la situazione generale del mercato abbiamo intervistato Liz Thach, Master of Wine, autrice ed educatrice pluripremiata, specializzata in strategia aziendale e marketing del vino con sede a Napa e Sonoma, in California. Liz ricopre inoltre la carica di Presidente del Wine Market Council, un’organizzazione no-profit nata nel 1997 in Napa Valley che si dedica a fornire ricerche di mercato lungimiranti sulle abitudini, gli atteggiamenti e le tendenze di acquisto dei consumatori di vino negli Stati Uniti.

Può darci una panoramica generale del mercato del vino americano in questo momento?

Partiamo da un punto fermo: gli americani amano i vini italiani e si dimostrano al primo posto tra le preferenze dei consumatori a stelle e strisce. 

Gli USA sono ancora il mercato più importante al mondo in termini di valore e volume. Ecco un pò di numeri interessanti: il 33% degli americani bevono vino, dunque parliamo di 79 milioni di persone. Lo scorso anno sono state vendute 403 milioni di casse di vino, sia vino domestico che importato, per un ammontare di circa 77,8 miliardi di dollari. Tra i consumatori il 59% sono donne ed il 41% uomini. 

Parlando di profilo demografico, cresce la preoccupazione per il consumo di vino della Gen Z, che si sta spostando verso altre tipologie di bevande. Ci può dare il suo punto di vista?

Bisogna tenere presente che negli USA non si possono bere alcolici fino ai 21 anni. Quindi i Gen Z di cui parlano le ricerche sono tra i 21 e i 26 anni. Il linea generale parlerei di giovani consumatori, che includono i Gen Z ed i Millennials più giovani, sotto i 30 anni, coloro che rappresentano il 25% della popolazione di consumatori di alcolici. 

Quali sono le ragioni del calo dei consumi di questa fascia più giovane? 

Innanzitutto, la crescente preoccupazione per la salute e le conseguenze del consumo degli alcolici su di essa: ciò sta impattando negativamente sulle vendite di vino, birra e spirits. Un’altra ragione è la ormai altissima competizione nel mondo delle bevande alcoliche, diventata ormai esplosa: i consumatori più giovani sono curiosi e sperimentano le opzioni al di là dei tradizionali vino, birra e spirits. Stanno provando hard seltzer, kombucha, hard tea e altre bevande che non erano disponibili 10 anni fa. 

A questo si aggiunge il recente trend di calo della spesa media e l’inflazione. 

Quali possibili soluzioni ravvisa?

Per quanto riguarda la prima preoccupazione legata all’aspetto salutistico, mi sembra ovvio che i produttori siano chiamati a creare vini con bassi livelli di alcol o zero alcol. In Germania stanno lavorando molto bene in questo senso: producono vini o birre zero alcol senza perdere il gusto. 

In secondo luogo io mi sento di caldeggiare un approccio innovativo: le persone giovani vogliono vedere cambiamenti e creatività, vogliono qualcosa di più eccitante di una noiosa bottiglia tradizionale, chiedono sostenibilità e biologico, packaging accattivanti…

Infine vogliono trasparenza: sapere cosa bevono, quali sono gli ingredienti e quante le calorie. 

In che modo l’inflazione influenza il business del vino negli USA?

Per prima cosa voglio premettere che il consumo del vino subisce una continua onda o oscillazione di crescita e decrescita periodica, questo calo nei consumi era avvenuto anche negli anni Novanta. Per quanto riguarda la sua domanda: l’inflazione in questo momento non è così alta negli USA come in Europa.

Subito dopo il Covid, lo scorso anno era all’8%, ma le persone continuavano a spendere. Ciò a cui abbiamo assistito era probabilmente una euforia post Covid, ora la festa è finita. Quello che accade è che le persone, che hanno oggi meno disponibilità per il costo del denaro, scelgono di spendere meno. Negli ultimi mesi sta avvenendo il fenomeno per cui le persone dicono: “Ero abituato a spendere 20 dollari per una bottiglia di vino? Ora ne posso spendere 12”. 

L’enoturismo è un modo interessante attraverso il quale i consumatori, anche quelli meno istruiti, possono avvicinarsi al vino e conoscere meglio lo stesso, la cantina e i territori. Le aziende vinicole italiane stanno cercando di migliorare l’offerta in questo campo, come si avvicinano gli americani all’enoturismo?

In linea generale, per esperienza dai miei numerosi viaggi in Italia, trovo che l’offerta delle aziende e dei territori italiani sia di qualità. Alcune differenze tra Italia e USA ci sono senza dubbio. La prima differenza riguarda il ricorso allo strumento dei wine club per coinvolgere i consumatori. Qui negli USA è prassi comune che i turisti visitino l’azienda e si registrino al club: con l’adesione possono farsi inviare il vino ogni paio di mesi, partecipare agli eventi, entrare a far parte di una community, avere delle degustazioni gratuite o sconti. Questo in Italia non avviene. 

La seconda differenza riguarda la visita con o senza appuntamento. Negli Usa è frequente poter accedere in azienda senza appuntamento, anche se con il Covid sono cambiate un pò le dinamiche e l’appuntamento è sempre più apprezzato, specialmente a Napa e Sonoma. Infine, in Italia e altre parti d’Europa avete le enoteche dove i turisti possono degustare e comprare vini locali tutti in unico luogo. Non ne abbiamo molte negli USA, e sono utili specialmente per i turisti che non hanno molto tempo a disposizione. 

Vuole lasciare un messaggio ai produttori italiani?

Mi piacerebbe vedere un membro italiano nella nostra community del Wine Market Council.  Tutti i nostri membri sono produttori, distributori, associazioni internazionali come i vini della Rioja, Germania, Nuova Zelanda, Rodano in Francia, Napa Valley, Washington, New York… Non abbiamo come membri regioni vitivinicole italiane e ci piacerebbe che aderissero. Vorrei invitare le associazioni o aziende italiane a diventare membri: potranno partecipare ai webinar, ricevere i nostri database e i report due o tre volte l’anno sulle abitudini di consumo degli americani.