“In qualunque parte del mondo venga condivisa una bottiglia Tommasi, questa possiede la meravigliosa capacità di mettere in relazione e connettere le persone”. Questa è la filosofia della storica azienda della Valpolicella Tommasi che celebra quest’anno le 50 vendemmie di Amarone, prodotto che da sempre rappresenta la storia e l’identità aziendale e che viene esportato fin dagli anni ’70 e ad oggi è in 75 Paesi del mondo.
Abbiamo incontrato e intervistato Pierangelo Tommasi, direttore commerciale estero, colui che si occupa di raccontare e rappresentare i vini della famiglia nel mondo, e a lui abbiamo chiesto una visione d’insieme sull’Amarone e su come comunicare questo prodotto in modo coerente ed unitario alla platea internazionale.

Avete celebrato recentemente le 50 vendemmie di Amarone, che ha visto un’importante evoluzione nel tempo. Come è cambiato l’export dell’Amarone in questi 50 anni?
L’export dell’Amarone è stato un’escalation continua. E pensare che fino a 30 anni fa era un vino poco conosciuto… Oggi invece è simbolo del made in Italy e di un territorio, la Valpolicella, in tutto il mondo. La mia famiglia ha iniziato ad esportarlo agli inizi degli anni ’70 prima in USA, Canada, Svizzera, Germania e poi via via nel resto del mondo. È il vino che ci rappresenta e che ci ha aperto le porte di più di 75 Paesi dal Polo Nord, ai Caraibi, dagli Emirati Arabi al Giappone.
 
Cosa significa esportare l’Amarone?
L’Amarone è un vino d’élite, per cui bisogna colpire e coltivare canali con clienti target particolari.
Vini come l’Amarone ed il Brunello hanno entrambi una reputazione importante in Italia e nel mondo, per certi versi può essere facile esportarli, ma bisogna saper costruire indipendentemente la reputazione di un marchio che sia sinonimo di qualità, di eccellenza e unicità.
 
Come raccontate l’Amarone a chi non lo conosce, specie se proveniente da una cultura lontana dal mondo del vino?
Ciò che rende unico l’Amarone è la sua storia e bisogna saperla raccontare in modo semplice e chiaro, in modo che sia il più fruibile possibile. Io racconto che l’Amarone di qualità nasce in alta collina, dove grazie alla cura dei vigneti e a madre natura si possono raccogliere i migliori grappoli. Poi spiego il metodo di appassimento, un passaggio che rende il racconto ( ed il vino) ancor più unico e particolare, infine l’affinamento in legno. Inoltre mi piace anche parlare dell’assonanza del nome con Amore, piuttosto che del fatto che significhi “amaro”, ma il vino non lo è affatto… insomma l’Amarone è affascinante e interessante da raccontare. Se poi si ha anche l’occasione di poterlo assaggiare, allora le parole potrebbero venir meno, nel senso che dal punto di vista organolettico non è un vino difficile da capire ed apprezzare. È un re gentile e cordiale.
 
Con che attività ed iniziative promuovete l’Amarone all’estero?
Facciamo molti viaggi ed in accordo con gli importatori dei diversi Paesi partecipiamo a fiere, ma soprattutto organizziamo degustazioni guidate con i distributori e la forza vendita. Per noi è importantissimo formare ed educare le persone che ci rappresentano in Italia e nel mondo, perché siano i primi rappresentanti dell’Amarone e del vino italiano di qualità. Per saper raccontare un vino e venderlo bisogna conoscerlo, conoscere il territorio e le persone. Solo così ci si può affezionare e diventarne ottimi ambasciatori. Oltre a coltivare rapporti con i media con tasting e confronto, cerchiamo di organizzare incoming e degustazioni in azienda. Tommasi è anche uno dei membri fondatori delle Famiglie dell’Amarone d’Arte e credo che la parte più importante delle attività che svolgiamo sia l’organizzazione di seminari e walk around tastings in giro per il mondo. Sono occasioni speciali dove 12 storici produttori si confrontano e raccontano l’Amarone, dando la possibilità di avere una visione d’insieme di un territorio speciale come la Valpolicella.
 
Quali sono i Paesi dove si riesce meglio e quelli dove c’è molto lavoro ancora da fare?
I mercati storici, come Usa e Canada ad esempio, sono i più maturi, e forse si ha più facilità, ma non è sempre detto, dato che più si conosce, più si pretende per cui bisogna sempre essere sul pezzo e stare molto attenti agli equilibri o all’andamento dei mercati con i monopoli. Mercati dove c’è tanto da fare e costruire, sono certamente quelli asiatici. E torno al discorso precedente, ribadendo quanto sia importante formare, educare e avere la pazienza di costruire la reputazione di un brand di qualità, scegliendo i partners giusti.
 
Secondo la Sua esperienza: qual’è l’episodio più curioso che Le è accaduto nel comunicare l’Amarone nel mondo? 
Di episodi e racconti in 20 anni che viaggio e faccio questo lavoro ce ne sarebbero parecchi. Mi piace ripetere e raccontare un’esperienza che ho fatto in Norvegia, un Paese a cui sono anche affezionato. Eravamo a Svalbard, a pochi chilometri dal Polo Nord, l’importatore aveva organizzato per la sera una cena, ma durante il pomeriggio abbiamo fatto un giro con le moto slitte e ci siamo fermati vicino a degli igloo. Siamo entrati per ristoro in uno di questi e abbiamo trovato della gente che si godeva una bottiglia di Amarone Tommasi. E’ stata una grande sorpresa e motivo di orgoglio!
 
Potenzialità e difficoltà dell’export di Amarone…
Ritengo ci siano ancora tante potenzialità per l’Amarone e parti del mondo che si possono ancora “conquistare”. La difficoltà più grande per noi produttori però è mantenere alta l’asticella in mercati dove si trova già tanto Amarone venduto a prezzi non adeguati. Dovremmo farlo tutti non solo per il prestigio di questo vino, ma anche per tutto il lavoro e la dedizione che richiede produrlo.
 
Amarone: brand sì o brand no?
L’Amarone è l’espressione massima del territorio della Valpolicella, ne è diventato il simbolo e uno dei principali vini che rappresentano l’eccellenza del Made in Italy. Se legato alla notorietà e alla storicità di un marchio, il connubio diventa vincente! Quindi direi, che sì, l’Amarone è un brand di per sé, ma marchio di valore solo se abbinato a produttori che ne rispettano tradizione e storicità.