Ci pensano in pochi al fatto che il sughero sia un prodotto totalmente naturale, persino utile all’ambiente grazie alla capacità di riduzione nell’atmosfera di anidride carbonica. Ma è proprio così, e dal 2009 il progetto di sostenibilità che lo riguarda risulta essere ampiamente abbracciato anche dai più scettici, in virtù di una rivoluzione verde e di quella filosofia green sempre più consapevole del bisogno di attenzioni per il nostro pianeta.
Tappi tecnici realizzati con materiali plastici o, nella loro versione a minor impatto ambientale con polimeri a base di canna da zucchero; tappi in vetro, tappi a vite, e naturalmente tappi in sughero. Per più di cento anni quest’ultimo è stato “l’esperienza” della maggior parte degli amanti del vino. Stappare, versare, roteare, inalare sono le sequenze di rituali sacri volti alla scoperta di aromi fruttati o floreali, sensazioni speziate, saline o balsamiche che troppe volte hanno ceduto il passo a una molecola naturale chiamata 2,4,6-tricloroanisolo – TCA – e composti affini, causando una riduzione olfattiva identificabile (per i più esperti) come cartone bagnato, cantina umida, straccio bagnato, quotidiano ammuffito, e capace di rovinare irrimediabilmente il vino. Impossibile non storcere il naso e allontanare il calice.
Roger Morris, scrittore e collaboratore di Pix Beta, in un recentissimo e interessante articolo ha fatto il punto sul ritorno del tappo in sughero, una panoramica che snocciola problemi, evoluzione e soluzioni.
Doug Frost, scrittore, Master Sommelier e Master of Wine di Kansas City, ricorda come in una delle molte serate organizzate negli anni ’80 con degustazione di vini speciali, su 36 bottiglie aperte ben due diverse annate di Ridge Vineyards Monte Bello erano “tappate”, così come due diverse bottiglie di J.J. Prüm Wehlener Sonnenuhr Auslese (una era il Goldkapsel Auslese 1983). Infine, irrimediabilmente compromesso anche un Léoville Barton del 1985, ancor più significativo per il fatto che fosse un formato da tre litri.
Dagli anni ’80 sino alla prima decade del 2000, le aziende leader nella produzione di sughero in Portogallo e nelle regioni del Mediterraneo, Spagna, Marocco, Italia, Tunisia, sono andate incontro a tempi durissimi, decenni in cui il sentore di tappo era riscontrabile su un numero importante di bottiglie di vino: fino al 7% di quelle prodotte. Alcuni consumatori pensavano che l’odore alterato del sughero fosse addirittura parte del gusto naturale del vino. Il Maestro e Sommelier Evan Goldstein, presidente del Full Circle Wine Solutions di San Francisco, racconta che quando era comproprietario e sommelier di un ristorante, sempre nei lontani anni ’80, una coppia ordinò una bottiglia da 900 Dollari di Montrachet. “Il tappo non era a posto – ricorda – ma decisi di versare ad ognuno un assaggio. L’uomo chiese alla donna che cosa ne pensasse, e lei rispose: < è la migliore bottiglia di vino che abbia mai assaggiato >”.
Il problema era considerato così serio che nel 2000 un gruppo di viticoltori australiani decise di abbandonare del tutto il sughero in favore dei tappi a vite, anche se all’epoca in Australia era molto difficile trovarli sul mercato. Un anno dopo i produttori che scelsero la medesima soluzione divennero 30. Dieci anni dopo, in Nuova Zelanda il 90% del vino veniva chiuso con tappi a vite. Negli Stati Uniti, invece, era tradizionalmente associato a vini di basso costo. Una tendenza sovvertita velocemente quando anche i produttori di vino di un certo costo iniziarono ad abbandonare il tappo in sughero. Dopo che il co-proprietario di PlumpJack, Gordon Getty, aprì una preziosa bottiglia di Cheval Blanc del 1947, anch’essa irrimediabilmente compromessa dal TCA, l’azienda vinicola della Napa Valley scelse il tappo a vite per il Napa Valley Reserve Cabernet Sauvignon 1997. Si è arrivati nel 2010 dove solo il 47% delle bottiglie di vino vendute negli Stati Uniti era con tappo in sughero. “È stato un periodo molto duro – afferma Carlos de Jesus, Responsabile marketing e comunicazione per Amorim Cork, azienda leader del settore. “L’industria portoghese del sughero stava investendo milioni nella ricerca, ma ci sarebbero voluti anni prima di ottenere risultati tangibili”.
Per quanto si continuino a fare degustazioni comparative, stabilire con certezza quale sia la chiusura migliore è impossibile. Ogni produttore opta per quella più idonea in base al tipo progetto enologico e alle aspettative di invecchiamento. Scelte discrezionali che possono valere per il singolo ma non necessariamente condivisibili da tutti. A maggior ragione quando le alternative al sughero si sono rivelate tutt’altro che perfette. I tappi di plastica avevano congeniti problemi ambientali di smaltimento, mentre sebbene i tappi a vite preservassero più a lungo la freschezza del vino, alcuni enologi e consumatori preferendo una maturazione più lenta del vino continuavano a prediligere il tappo di sughero.
Dal 2005 sono stati utilizzati 4.7 miliardi di tappi in plastica. Dieci anni più tardi, il 66% dei vini di costo superiore ai 6 Dollari aveva nuovamente tappi di sughero, così come il 90% di quelli sopra i 20 Dollari.
Che cosa è successo?
Nel frattempo l’industria del sughero ha percorso diverse strade per la risoluzione del problema TCA. Diam, l’azienda francese fondata nel 2004, ha preso la corteccia delle Quercus suber, l’ha macinata finemente, l’ha ripulita da qualsiasi molecola di TCA usando CO2 supercritica per estrarre dal sughero i componenti responsabili delle deviazioni sensoriali, tra cui il ben noto gusto di tappo (TCA). Completato il processo con acqua e un legante, oggi il tappo Diam è conosciuto come tappo tecnico o composito. Amorim Cork, MA. Silva e altri membri dell’APCOR —Associazione portoghese di sughero – hanno continuato a lavorare secondo il metodo tradizionale, decorticando le cortecce di sughero che vengono successivamente pulite, asciugate e stagionate. Parte del processo impiega la gascromatografia per rilevare e scartare i tappi contaminati. Nello scorso febbraio, l’azienda Amorim Cork che produce 5,5 miliardi di tappi ogni anno, ha dichiarato di avere eliminato il sentore di tappo attraverso la vaporizzazione delle plance in contenitori senza pressione a una temperatura compresa tra 105 e i 115 gradi, processo introdotto nel 2009.
Il TCA è quindi scomparso? Non completamente. Non tutti i produttori di sughero hanno infatti sviluppato percorsi così innovativi e sicuramente il TCA è ancora riscontrabile nelle vecchie annate. Può capitare infine che sia presente nelle cantine con scarsa igiene o nei i vigneti che, seppur raramente, possono diventare luoghi di esposizione. Oggi il mercato mondiale dei tappi di vino vale 18 miliardi per bottiglie di vino in vetro formato 0,75 litri, di cui 13 miliardi in sughero, 3,2 miliardi a vite, circa 2 miliardi plastica. Il sughero resta il materiale scelto dagli imprenditori del vino, non un monopolio, ma di sicuro un consumo prevalente alla ricerca di soluzioni sempre più eco friendly. Clienti importanti come Domaine Laroche, produttore di Chablis, dopo un decennio di utilizzo del tappo a vite, nel 2016 sono tornati al sughero, una scelta di sostenibilità anche per le cantine.
Azioni e innovazione, sviluppo circolare, purezza sensoriale e organolettica: il tappo in sughero in fondo non è solo una questione di puro romanticismo.