Nel tempo lo stile dei vini prodotti a Bordeaux è sensibilmente cambiato, afferma Colin Hay, giornalista e degustatore, permettendo anche ai grandi bianchi di questo territorio d’attrarre l’interesse d’appassionati e winelovers. Un fatto reso possibile grazie al venire meno dell’influenza della critica internazionale relativamente allo stile dei vini prodotti. L’effetto ottenuto è che, forse, per la prima volta dopo molto tempo, i produttori si sono sentiti incoraggiati nell’esprimere se stessi nei vini che avevano in mente di realizzare. Un cambiamento piuttosto lento, vero; ma a Bordeaux finalmente qualcosa si sta muovendo, e qualche volta, soprattutto se si sa dove guardare, succede anche velocemente
Negli ultimi tre – quattro anni sono stati molti i viticoltori che hanno investito in un nuovo modo di fare vino. Nella “vetrina” di Bordeaux, vini gustativamente più moderni ed enologicamente interessanti, prodotti in quantità molto limitate da Châteaux e brand leader, stanno provando a raccontare un nuovo approccio al territorio secondo nuovi punti di vista. Hanno tutti in comune due caratteristiche: sono vini bianchi secchi e cercano di esprimere completamente il terroir da cui provengono. Ci riescono molto bene!
Di seguito racconteremo, grazie alla degustazione di Colin Hay, di alcune realtà che stanno lavorando proprio secondo questo nuovo stile. Non si parla di un solo genere o di un’unica tipologia: ciò che emerge è proprio l’assoluta diversità. Le uve provengono da terroir sempre differenti e da vigneti collocati nelle varie denominazioni di Bordeaux di cui peraltro, nessuno di loro si può fregiare in etichetta. Sulla scena una pluralità sorprendente di vitigni. Alcune nuove etichette sono ottenute da uve tradizionali come Sauvignon Blanc, Sémillon e Sauvignon Gris; altre da monovarietali di Sauvignon Blanc, Sémillon e Chardonnay. Alcune vengono vinificate e affinate in botti di rovere nuove, altre non svolgono alcun affinamento in legno. Alcune ricercano la verticalità, lo stile, la finezza e la precisione; altre la profondità, la ricchezza e la concentrazione. E nonostante il loro status ufficiale, tutt’altro che sacro e celebrato, definito semplicemente “Bordeaux Blanc Sec” o per lo Chardonnay in purezza “Vin de Pays de l’Atlantique” o addirittura “Vin de Table”, i prezzi variano in una forbice molto ampia dall’economico al costoso.
Una selezione tutt’altro che esaustiva quella di Colin Hay, vini e progetti che in parte conosceva già ma che ha voluto approfondire, incuriosito dal lavoro svolto, grazie al quale sono ulteriormente “cresciuti”.
Asphodèle Château Climens, Gran Vin Blanc Sec 2018
Un nuovo vino, il primo bianco secco del prestigioso Château Climens di Barsac. Il progetto è nato in occasione della gelata della primavera 2017. Si basa su una visione chiara e precisa: creare un sorso che per Berenice Lurtons, fosse “delicato ma carnoso, vivace, puro, affascinante e spirituale”. È riuscita in tutto, come da sua abitudine. Si tratta di un Sémillon varietale relativamente raro e, come tale, atipico rispetto ai bianchi secchi di Sauternes e Barsac. Le parcelle da cui proviene sono collocate interamente nel Vigneto Climens, pioniere della vinificazione biodinamica a Bordeaux.
La prima annata è la 2018. Le uve, raccolte precocemente per preservarne la croccantezza e l’acidità dell’acino, provengono dalle parcelle più giovani della tenuta. Il consulente di Berenice Lurtons è stato Pascal Jolivet di Sancerre. Lei poi ha seguito rigorosamente la strada tracciata: raccolta anticipata, fermentazione naturale con lieviti indigeni, élevage sulle fecce fini senza uso di legno. Il terroir, una combinazione di argilla rossa e calcare, caratterizza il vino per verticalità e struttura. Il vino si chiama semplicemente “Asphodèle”: una pianta, il mughetto selvatico che cresce su un terreno calcareo con la caratteristica di saper resistere al fuoco. È un simbolo della trascendenza delle avversità, un collegamento tra la terra e il cielo, tra materiale e spirituale, che ne cattura l’essenza stessa e l’anima di questo straordinario vino.
Gran Vin Brane Cantenac blanc 2019
Un altro nuovo interessante progetto. La vendemmia 2019 è la prima annata di questo Gran Vin da uve Sémillon e Sauvignon. Un sorso sorprendentemente simile ad un Pavillon Blanc piuttosto che ad un Aile d’Argent. Un grande vino del Medoc proveniente da 3.2 ettari su suoli argillosi-silicei. Ogni singola varietà viene vinificata in botte dove affina per circa otto mesi. A breve in commercio.
I monovarietali di Hubert de Boüard
Un altro affascinante lavoro che inizia con la vendemmia 2016, una nuova gamma di vini monovarietali prodotti a Bordeaux dove ciascuna etichetta è contrassegnata dalle forbici da potatura, regalate a Hubert de Boüard dal padre per il suo settimo compleanno. Il nuovo vigneto è a quattro chilometri da La Fleur de Boüard sull’altopiano di Artigues de Lussac. La relativa altimetria e la diversità dell’esposizioni e dei suoli ha permesso di piantare varietà sorprendenti per Bordeaux come lo Chardonnay, la Grenache e il Syrah insieme a vitigni convenzionali come Sémillon, Sauvignon Blanc, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot. La produzione è molto esigua: 3.45 ettari di Chardonnay su un terroir sabbioso-argilloso intriso di elementi ferrosi; 1.5 ettari di Sémillon su un terreno argilloso-calcareo e 2 ettari di Sauvignon Blanc su medesimo suolo ma con un impianto più fitto.
Château Lafaurie Peyraguey, Blanc Sec de Lafaurie Peyraguey 2018
Un vino prodotto da più di tempo, ma per una proprietà censita già nel 1855, si tratta ancora di storia recente. Blanc Sec de Lafaurie Peyraguey coltivato nel celebre terroir di Sauternes e Barsac, dalla sua prima annata, la vendemmia 2014, è “cresciuto” moltissimo trovando uno stile fresco, delineato e puro, che lo contraddistingue da molti Bordeaux bianchi secchi della sua tipologia.
La Croix de Labrie’s 2018
Stella Solare, l’etichetta realizzata con la vendemmia 2016, vede l’impiego di uve provenienti da una piccola parcella dell’eccellente terroir destinato alla produzione di vini bianchi secchi di vigneti piantati più di mezzo secolo fa. Un vino costituito prevalentemente da Sémillon di vigne vecchie (circa 60%), con un quinto di Sauvignon Blanc e un quinto Sauvignon Gris. I suoli sono calcarei; poi gesso e argilla. La fermentazione avviene in botti nuove (per il 50%) di legni di rovere e d’acacia. Un grande vino, ricco e potente, che non lesina nel mostrare tutta l’influenza del legno. Un profilo gustativo unico in un’espressione di altissima qualità: sei botti per sole 1.800 bottiglie l’anno. Molto diverso, a dispetto dell’essere fatto da Chardonnay in purezza, Camille de La Croix de Labrie, un sorso meno “radicale” al punto da poter essere considerato con troppa facilità un vino semplice, economico e beverino. Attenzione però, sarebbe un grande errore. Da vigneti su terreni calcarei e calcareo- sabbiosi, è considerato invece uno degli Chardonnay più freschi, più verticali, più concentrati della regione di Bordeaux, con un utilizzo moderato del legno (solo il 20% affina in barrique) e con un ottimo rapporto qualità-prezzo.
“Elena” de la Grace Dieu des Prieurs (Arte Russe)
È uno degli indirizzi più interessanti di St. Emilion. Un progetto intrigante sviluppato dopo l’imponente restauro della cantina di produzione e dello Château Grace Dieu des Prieurs. L’attenzione rivolta ad Arte Russe è per l’etichetta battezzata Elena, in onore della moglie del proprietario, Andrei Filatov. Un bianco secco prodotto da Chardonnay in purezza, uno tra i migliori realizzati a Bordeaux. L’enologo consulente è Louis Mitjavile capace di quel tocco magico che ne fa uno Chardonnay di St. Emilion incredibilmente elegante. Vinificato e affinato in botte, vede l’eccellente annata 2019 (la 2018 non verrà commercializzata) prodotta solo in magnum e destinata ad aste di beneficenza. Ogni calice proviene da un piccolo vigneto: 0.8 ettari e parcelle di un singolo filare, su terreni sabbioso-argillosi particolarmente adatti a questa rara varietà nel cuore di Bordeaux. La fermentazione alcolica si svolge in tini d’acciaio con lieviti indigeni; la fermentazione malolattica si svolge in barriques nuove della tonnellerie Radoux, legni in cui maturerà per i successivi 12 mesi.
Il bianco secco di Château Lafleur, Les Champs Libres 2016 e il Gran Village Blanc
Quando si pensa alla famiglia Guinaudeau, si pensa a Château Lafleur – il gioiello di Pomerol, oggi considerato semplicemente uno dei vini più buoni al mondo. Anche se meno conosciuti, producono alcuni dei migliori bianchi vini della regione. Come l’eccezionale coppia di Grand Village blanc e Les Champs Libres, di proprietà della famiglia dal 1650, rinomati sin da quei tempi per la qualità dei vini bianchi. Il vigneto Grand Villages si trova su terreni argillosi-calcarei vicini a Fronsac. Ripiantato negli anni ’60 con varietà a bacca rossa è stato nuovamente ripiantato negli anni ’90 con Sauvignon Blanc e Sémillon. È solo all’inizio del secolo, sotto la guida di Baptiste e Julie Guinaudeau, che il vino diviene quello che è oggi. Il vigneto è stato in gran parte ripiantato con la varietà Sauvignon Blanc di Sancerre proprio per la maggiore ricchezza, complessità e la capacità di esprimere la mineralità del suo terroir. Gli ettari vitati sono in totale 2.3. Si pratica una viticoltura sostenibile con vendemmia manuale, pressatura dolce e una vinificazione in una combinazione di tini d’acciaio e legni nuovi e usati. Affina in botte per 8 mesi e per 5 mesi svolge il bâttonage (rimettere in sospensione le fecce fini del vino). Ogni anno vengono commercializzate dalle 8.000 alle 12.000 bottiglie. Nel 2013 Les Champs Libres è stato prodotto dalle uve del vigneto Grand Village. Nel 2012, impressionati dalla notevole complessità di alcune botti, si è deciso di tenerle da parte per imbottigliarle separatamente. Il risultato è stato di 240 bottiglie e 120 magnum di “A Louima”, un vino che esiste solo nell’annata 2012 e che prende il nome dalla parcella da cui proviene. Ispirati dal successo di A Louima, nel 2013 hanno realizzato un blend dalle migliori botti delle tre parcelle di Sauvignon, inclusa quest’ultima che è diventato Les Champs Libres 100% Sauvignon Blanc. Un’ulteriore parcella è stata aggiunta nel 2014. Si tratta di un vino davvero spettacolare. I quattro appezzamenti da cui proviene sono in totale solo 0.7 ettari. Ogni anno vengono prodotte circa 4.500 bottiglie.
Le Petit Cheval Blanc 2018
Un’altra etichetta affascinante con una storia particolarmente interessante è Le Petit Cheval Blanc. Un progetto sviluppato per caso nel 2006 con l’acquisto da parte LVMH, proprietari di Cheval Blanc’s, del vicino vigneto Grand Cru di La Tour du Pin (successivamente La Tour du Pin Figeac). Gli otto ettari di vigna sono ubicati per la maggior parte vicino al castello di Cheval Blanc. LVMH aveva subito manifestato interesse per alcuni filari di Merlot che dal 2012 sono entrati nel Grand Vin. I restanti 6.5 ettari sono stati reimpiantati a
Sauvignon Blanc e Sémillon. Inizialmente, due piccole parcelle di circa mezzo ettaro, sono state innestate sulla radice preesistente con la varietà Sauvignon Blanc L’obiettivo, fin dall’inizio, era quello di produrre un grande bianco della stessa qualità di Cheval Blanc. “Le Petit Cheval”, non è stato inizialmente destinato alla commercializzazione. Anche se la prima annata è stata la 2009, solo nel 2014 che Cheval Blanc si è deciso d’introdurlo sul mercato. Il vino nasce da un’insolita combinazione di terroir e microclima che ben si adatta alla produzione di Sauvignon Blanc e Sémillon di altissima qualità. Il terreno, in qualche maniera più umido e sabbioso è meno soggetto a stress idrico, che lo rende meno adatto per la produzione di rossi, ma assolutamente adatto alle classiche varietà bianche bordolesi. Sei diversi cloni di Sauvignon e Sémillon sono state attentamente selezionati e abbinati a specifici portainnesti particolarmente idonei per quel terroir. Il Sémillon, piantato nel 2016 nei terroir più alti, argillosi e con maggiore ritenzione idrica, è stato utilizzato per la prima volta nel 2018. Come Asphodèle, le uve sono raccolta in anticipo per preservarne tutta la freschezza e la croccantezza dell’acino. La fermentazione avviene in barriques nuove di rovere di Austria, Sancerre e Borgogna, e con uno specifico bâtonnage decretato del team tecnico. Le Petit Cheval Blanc si caratterizza, inoltre, per un affinamento insolitamente lungo (16-18 mesi) in grandi tini di rovere (circa 1.500-3.000 litri) per moderare l’influenza del legno. Successivamente il blanding avviene in un unico grande tino di acciaio inox.
Valandraud Blanc
È il vino “più antico”, nel senso che questo è stato commercializzato, più o meno come lo conosciamo oggi, per la prima volta nel 2003; in origine era Blanc de Valandraud numero 1. Le vigne sono state piantate nel 2000, in parcelle contigue a Château Valandraud, nel comune di Saint Genes de Castillon, storicamente riconosciuto per il valore dei vini prodotti dai vitigni a bacca bianca di vecchie vigne. Il vigneto è di soli 2 ettari; i pendii sono argilloso-calcarei, orientati a sud ovest di St. Emilion. Tipicamente un blend costituito da Sauvignon Gris, dal 40 al 50%, Sauvignon Blanc per il 30 – 40% e un saldo di Semillion dal 10 al 30%. L’elevage avviene in una combinazione di legni di rovere nuovi per l’80%, barriques da 225 a 500 litri, per circa 12 mesi. Il vino è classico, elegante, stilisticamente perfetto con un’importante concentrazione di materia e frutto ed un’infinita persistenza. Solo 3.000 bottiglie in commercio.