Con questo articolo avviamo la collaborazione con Paola Di Remigio che dopo aver concluso l’Executive Master in Wine Export Management, organizzato dalla Fondazione Mach di San Michele all’Adige (Trento), nel quale Wine Meridian ha avviato da due anni una importante collaborazione, sta svolgendo una importante esperienza professionale in British Columbia (Canada).

A lei abbiamo chiesto di “raccontarci”, in assoluta libertà, le sue sensazioni legate al mercato del vino in tutti i suoi diversi aspetti.

Il posizionamento del prodotto sugli scaffali dei liquor store in Canada non è altro che il primo obiettivo che un’azienda deve avere di mira quando si affaccia a un nuovo mercato. Il passo successivo è quello di stimolare costantemente la domanda del prodotto da parte del pubblico per evitare che lo stesso venga rimosso dal mercato. La necessità di promozione riguarda tutte le categorie di vini e non solo i meno noti, come si potrebbe facilmente pensare.
Vini italiani prodotti con vitigni internazionali: questi vini si trovano a concorrere con centinaia di altri vini prodotti in tutto il mondo con lo stesso vitigno e soprattutto con i vini canadesi meglio conosciuti dal pubblico e presenti sugli scaffali ad un prezzo spesso inferiore.
A quest’ultimo proposito, la British Columbia sta mettendo in atto delle politiche protezionistiche nei confronti del vino canadese; da aprile di quest’anno, ad esempio, nei negozi di alimentari si possono vendere vini – a determinate e stringenti condizioni – ma solo canadesi. Una ragione in più per far capire quanto sia importante la promozione del prodotto per far conoscere le peculiarità dei vini italiani rispetto ai medesimi vini prodotti in altre nazioni.
Vini italiani prodotti con vitigni autoctoni e non conosciuti: la promozione qui è fondamentale per far conoscere e apprezzare questa tipologia di vini che altrimenti non verrebbe presa in considerazione dal pubblico.
Vini italiani prodotti con vitigni autoctoni e conosciuti: la promozione potrebbe sembrare superflua ma non lo è perché, anche in questo caso, la concorrenza tra i diversi brand è forte. A questo proposito ho partecipato ad un tasting il 17 settembre scorso, all’intero di un liquor store privato (non della catena del monopolio ndr) e ho verificato di persona come le persone presenti hanno scelto quasi tutte i prodotti presentati durante la degustazione. Addirittura alcuni di essi hanno cambiato idea rispetto a vini che avevano già messo nei loro carrelli. Ritengo che questo faccia capire bene l’importanza, ad esempio, di azioni di promozione come i wine tasting.
L’attività di promozione ovviamente ha dei costi che le aziende devono considerare di sostenere quando decidono di affacciarsi ai mercati esteri. Sembra un concetto banale ma non lo è. In questi primi mesi a Vancouver mi sono resa conto che molte aziende spesso ritengono che la promozione sia “un problema” dell’importatore, ma purtroppo non è così.
L’importatore non può sostenere da solo il costo di una campagna promozionale. Se ci limitiamo a pensare che sia un problema suo, l’unico risultato sarà che nessuna promozione verrà fatta sul nostro brand. Le aziende devono quindi essere consapevoli dell’importanza di stanziare dei fondi per questo tipo di attività. E pensare che la politica migliore di “promozione” sia quella di un prezzo aggressivo (cioè molto basso) franco cantina può rivelarsi un errore molto pericoloso e difficile da recuperare. Mi sono resa conto, a questo proposito, di molte cose che ho ascoltato durante il Master in Wine Export Management della Fondazione Edmund Mach e di quanto sia indispensabile creare valore aggiunto attorno ai nostri vini. Saranno proprio quei margini in più che consentono alle imprese di accompagnare i prodotti con una corretta promozione. Mi rendo benissimo conto che non è assolutamente facile, con margini sempre più limitati e un mercato sempre più affollato, investire risorse in azioni di accompagnamento dei nostri vini. Ma al tempo stesso sto toccando con mano i rischi di una politica di marketing basato esclusivamente sul prezzo. Inutile fare giri di parole, rischia di essere un vero massacro.

Capisco altresì che le aziende vanno rassicurate sull’efficacia dell’attività promozionale perché ritengo che il timore diffuso sia quello di buttare soldi senza poter effettivamente controllare dove vadano a finire. Dubbio legittimo che comporta uno stringente dovere di trasparenza da parte dell’importatore, ma anche da parte di tutti coloro che hanno responsabilità nelle azioni di promozione. Non è sufficiente, pertanto, documentare quanti soldi vengono spesi e per quali attività (questo è una sorta di prerequisito) ma anche monitorare costantemente questa attività, verificarne l’efficacia, capire, insomma, i costi ma anche gli auspicabili benefici. Una buona idea, ad esempio, è quella di pubblicare sulle pagine dei social network delle aziende foto dei tasting e delle altre attività di promozione, in modo da svolgere anche un’attività di elaborazione di contenuti. Immagino che il pubblico potrebbe seguire con interesse quello che succede dall’altra parte del mondo.
Segnalo infine che durante i tasting si vendono diverse bottiglie di vino e, di conseguenza, si ottiene l’ordine di una o due casse di vino da parte del liquor store che ospita la degustazione. Quindi, di fatto, i tasting si possono autofinanziare.