La cooperazione nella denominazione del Soave storicamente ha un ruolo e un peso molto importante. Nel tempo si sono diversificati alcuni modelli diversi di cooperazione e questo ha consentito un sano equilibrio all’interno della denominazione. In questa logica un ruolo interessante lo ha giocato la Cantina di Monteforte che ha scelto la via di non crescere in maniera esagerata e di mantenere una dimensione che le consentisse di garantire un corretto rapporto con il territorio e i suoi soci e, al tempo stesso, garantire una qualità dei suoi prodotti adeguata e coerente con le richieste del mercato.
“Sarebbe quindi molto importante” sottolinea Tobin “riuscire a far emergere con maggiore trasparenza le diversità tra le realtà produttive. Spesso infatti non si riesce a far percepire in maniera chiara le diversità dimensionali, produttive e questo è molto rischioso per il nostro settore perché se nel mercato non c’è chiarezza, le giuste percezioni, inevitabilmente si finisce solo a giocare la leva del prezzo, quasi sempre troppo basso”.
E rispetto al Soave, quale sensazioni dall’osservatorio della Cantina di Monteforte?
“Sicuramente non è una fase facile” evidenzia Tobin “soprattutto sui mercati internazionali dove spesso le tensioni sul prezzo si fanno più evidenti e dove non è sempre facile far capire le proprie differenze, le proprie peculiarità. In questa direzione forse potrebbe essere utile riflettere anche su una nuova classificazione della nostra denominazione capace di evidenziare maggiormente anche le differenze al suo interno, a partire dai cru più importanti”.
“Penso comunque che il Soave abbia ancora la forza per essere competitivo sui mercati” conclude Tobin “grazie ad un territorio tra i maggiormente vocati a livello mondiale per dare vini di qualità idonei per i mercati di oggi e del futuro. Ma dobbiamo anche accettare la sfida del cambiamento e dell’innovazione, investendo oggi in ricerca per studiare e progettare i Soave di domani”.