Il Ministero dell’Ambiente a fine febbraio vi ha assegnato la certificazione VIVA. Che significato ha per voi questo riconoscimento?
Per noi ha un significato importante, si perseguiva questo obiettivo già da anni. La certificazione serve sul mercato – soprattutto nel Nord Europa – e rappresenta un punto di arrivo e di partenza allo stesso tempo. La nostra cooperativa si assume la responsabilità di mantenere integro questo territorio per le generazioni future, sono temi che seguiamo con la massima attenzione.
Tracciabilità e sostenibilità sono concetti a volte abusati, come operate concretamente per garantire questi aspetti?
Abbiamo un sistema informatizzato di tracciabilità. Dall’etichetta delle nostre bottiglie si può facilmente risalire alla partita di uva che ha contribuito a fare quel determinato vino.
Per il biologico, ad esempio, abbiamo internamente dei sistemi che ci permettono di andare a ritroso sino ad arrivare al produttore, per verificare che sia tutto trasparente e regolare. Questo agevola e garantisce sia il consumatore esterno sia la produzione interna. Abbiamo controlli molto severi, soprattutto perché lavoriamo con l’estero ed i paesi del nord Europa, in primis Inghilterra e Germania, che sono molto esigenti.
Sei territori, 30 cultivar differenti in 6mila ettari, una biodiversità eccezionale. Quali sono i vantaggi di questa peculiarità e come preservate questa ricchezza?
La nostra ricchezza è veramente un unicum, ne siamo consapevoli. Abbiamo 32 varietà diverse, possiamo fare monovarietali, blend, abbiamo un portafoglio enorme di possibili referenze. La nostra sfida è utilizzare al meglio questa peculiarità e diversificare il più possibile, sempre mantenendo alta la qualità.
Come preserviamo tutto questo? Con piani varietali, indichiamo agli agricoltori cosa piantare e cosa estirpare. Abbiamo mille ettari in biologico e un’altra buona parte in cui si stanno riducendo al minimo i fitofarmaci.
Le nostre rese sono basse (76 quintali per ettaro), non c’è depauperamento e sfruttamento del terreno.
Siamo consapevoli di essere un po’ penalizzati nelle quantità ma è una scelta, la differenza nei vini si coglie.
Quando mi sono insediato 3 anni fa, ho trovato una situazione in cui il mercato richiedeva maggiore vino rosso e noi eravamo sbilanciati sul bianco con 550 ettari di Catarratto, ora stiamo cercando di convertirne una parte a rosso.
In cooperativa le decisioni ed i progetti non vengono calati dall’alto, devono essere condivisi. A piccoli passi stiamo arrivando ad un buon equilibrio.
Sostenibilità ambientale ma anche economica e sociale. Ci parli del vostro impegno per la comunità.
È chiaro che è uno dei punti più importanti, l’obiettivo è valorizzare sempre di più le uve.
Le rese ci penalizzano, quando hai 80 quintali per ettaro non si riesce ad essere competitivi con le uve del nord Italia che rendono il doppio. Abbiamo rivisto i costi interni dell’azienda e ci siamo aperti a nuovi mercati.
Il percorso è iniziato, i primi risultati sono stati incoraggianti, in questo momento siamo molto penalizzati sull’Horeca ma per fortuna la grande distribuzione lavora.
Garantiremo dei buoni prezzi per i nostri soci anche qualora il Mandrarossa, che rappresenta il 15% del nostro fatturato (5 milioni di euro di valore) abbia un crollo di vendite dovuto all’emergenza coronavirus.
La riorganizzazione aziendale ci ha consentito un buon prezzo delle uve, la politica è stata quella di ridurre la quantità e alzare i prezzi medi dei nostri prodotti, il netto ci ha permesso di remunerare meglio i nostri soci.
Anche se a marzo la GDO ha avuto una crescita, non è stata così consistente sui vini e non riusciremo a tamponare le perdite dell’Horeca.
EnoGIS e collaborazioni con ricercatori ed Università, quali sono i risultati concreti di questo connubio tra viticoltura, ricerca e tecnologia digitale?
Abbiamo una mappatura informatica dei vigneti, vengono rilevati dati anche in fase vendemmiale, verifichiamo la velocità con cui le vendemmiatrici passano a raccogliere le uve. Ci interessa monitorare il rispetto di determinate regole sui trattamenti e la raccolta delle uve. Stiamo avviando un progetto di telerilevazione sperimentale con l’utilizzo di droni che verificano la colorazione delle foglie ed eventualmente la necessità o meno di interventi. Questo ci serve anche per diminuire e ottimizzare l’utilizzo di fitosanitari, con un vantaggio dal punto di vista ambientale ed economico. Su questo fronte stiamo facendo delle prove sperimentali, l’anno prossimo saremo pronti.
Parliamo di attualità, che strategie aziendali state adottando in questo periodo particolarmente difficile e come mantenete le relazioni con clienti, partners e fornitori?
Naturalmente facciamo tutto via internet, non abbiamo più appuntamenti, lavoriamo in smart working e facciamo video conferenze, vedo che si riesce in qualche modo a tamponare.
Siamo molto organizzati in questo senso, molti commerciali lavorano da casa. Il 21 aprile, ad esempio, faremo una video conferenza con diversi giornalisti presentando, come se fossimo al Vinitaly, i nostri vini dell’Etna.
Per quanto riguarda il mercato, quali sono i mutamenti più evidenti che state riscontrando e quali le prospettive?
Abbiamo aumentato le vendite su e-commerce di circa il 15-20%, anche grazie ad un’offerta promozionale studiata ad hoc.
Per quanto riguarda i dazi statunitensi abbiamo tirato un sospiro di sollievo alla notizia che non riguardavano i vini italiani, per noi comunque gli States non rappresentano un mercato di punta.
Siamo molto più in apprensione per la Brexit, dato che il Regno Unito è il nostro principale mercato soprattutto sulla GDO.
Se non ci fosse stata l’emergenza coronavirus, devo dire che i segnali provenienti dal Regno Unito erano veramente positivi e promettenti, ho incontrato molte persone interessate e competenti.
Un altro mercato molto interessante per noi è la Svezia e la Germania, su cui eravamo in forte crescita.
Stiamo sempre più consolidando il brand Mandrarossa e sono certo che questo lavoro continuerà a dare frutti anche dopo questa emergenza.