Per secoli, le regioni vinicole europee hanno cercato il modo di limitare le aree geografiche di una particolare denominazione, nonché la quantità di vino prodotta per ettaro.
Il Chianti, ad esempio, è conosciuto come vino fin dal 1300 – una dei primi brand di vino regionali – eppure è un manifesto di ciò che può andare storto se una zona di produzione non è strettamente controllata. Nonostante i ripetuti tentativi in tal senso, nel corso dei secoli la zona produttiva ha avuto la possibilità di espandersi a dismisura, inflazionando e svalutando così la sua immagine. Di conseguenza, il Chianti negli ultimi 100 anni ha lottato per trovare il modo di recuperare il suo prestigio.
La Francia è stato il primo paese a sistematizzare i perimetri delle sue regioni vinicole, definendo il tipo di uva che una regione poteva coltivare, il tipo di vino che poteva produrre e in che quantità. Nel 1905, ha creato le prime regioni vinicole formali, o denominazioni, tra cui lo Champagne.
In un documento di ricerca del 2002, lo studente di legge Jeffrey A. Munsie dell’Università di Harvard, ha fornito una semplice sintesi di come il crollo dell’industria vinicola francese nei primi anni ’30 “ha spinto il governo ad approvare una serie di progetti di legge per affrontare tutti gli aspetti dell’industria, noti come Statut du Vin (Statuto del vino).
Lo Statuto del vino aveva tre obiettivi principali:
1) evitare eccedenze riducendo le dimensioni dei vigneti che producono “vin de consommation courante” (vino da tavola);
2) stabilizzare il mercato controllando l’offerta;
3) garantire ai coltivatori un prezzo che assicurasse un profitto sufficiente per permettere alle famiglie di continuare a lavorare quella terra”.
Queste misure sono arrivate a costituire la spina dorsale del moderno sistema normativo e, sorprendentemente, sono per lo più ancora oggi in vigore.
Da qui sono nati gruppi regionali definiti anche “cartelli” del vino in cui le parti interessate controllano la produzione e la qualità per mantenere i prezzi adeguati e sostenibili.
Al contrario, le regioni vinicole americane come la Napa Valley non possono costituire i propri cartelli perché violano le leggi antitrust statunitensi. Le regioni vinicole statunitensi possono promuovere congiuntamente i loro vini, ma non possono legalmente unirsi per controllare la produzione o il prezzo.
Lo Champagne è un esempio lampante, nessuno in Francia, ha un cartello più forte e complesso dello Champagne. Léa Holmes, direttore della comunicazione della SGV (Syndicat général des vignerons de la Champagne), l’organizzazione dei produttori di Champagne, sottolinea che la regione ha controllato la produzione per decenni, piantando gradualmente nuovi vigneti per soddisfare la crescente domanda. Così, lo Champagne è passato dai 17.000 ettari piantati nel 1970 ai 34.324 ettari di oggi.
La produzione dello Champagne è complessa perché la maggior parte dei vini è costituita da blend di più annate, i vini dell’annata corrente vengono accantonati per l’eventuale assemblaggio con annate passate e future.
Di conseguenza, ogni anno l’assegnazione della produzione viene stabilita con largo anticipo, in accordo sia con i coltivatori che con le case di Champagne, rappresentate dal CIVC (Comité Interprofessionnel du vin de Champagne).
Secondo Thibaut Le Mailloux, direttore della comunicazione del CIVC, l’assegnazione viene effettuata all’inizio della stagione, tenendo conto di analisi precoci della qualità e delle rese potenziali. Poi si tiene conto della situazione economica (livello delle scorte, dinamismo delle spedizioni e previsioni triennali di volume).
Per quanto riguarda il Barolo è stato annunciato che a partire dal 1° gennaio 2020 non potranno essere impiantati altri vigneti di Barolo nei prossimi tre anni, evitando così un aumento significativo della produzione futura del Nebbiolo. Ilaria Bertini, a nome del Consorzio che controlla la produzione del Barolo e del vicino Barbaresco, ha dichiarato che la moratoria “è un’azione sensata e prudente, volta a tutelare la denominazione e a permettere al mercato di adeguarsi a una produzione crescente del rosso di punta del Piemonte”.
Come molte denominazioni europee, il Barolo limita le rese, soprattutto per garantire la qualità, limitando la quantità massima di uva da raccogliere per ettaro.
Le moratorie di impianto sono più rare. Nell’annunciare il divieto di impianto per tre anni, il presidente del consorzio Matteo Ascheri ha detto che, anche se le prospettive di marketing non sono cupe, “dobbiamo [considerarle] alla luce del calo delle esportazioni verso la Germania e il Regno Unito e dell’aumento della produzione. Il modo più semplice per affrontare il problema è quello di limitare gli ettari piantumati”.
Ascheri afferma che il Barbaresco, l’altro Nebbiolo di pregio del Piemonte, non sarà soggetto alla stessa moratoria del Barolo, ma sarà limitato a soli sette nuovi ettari supplementari piantati annualmente per i prossimi tre anni.
Quando ha senso per un’area produttiva rallentare o arrestare la crescita della produzione?
“La domanda anelastica si verifica quando la domanda non scende molto nel momento in cui i prezzi aumentano. Questo è probabilmente dovuto alla mancanza di alternative. Quando ci sono buone alternative, la domanda diminuisce di molto in risposta anche ad un piccolo aumento dei prezzi”.
Nella storia recente, Borgogna e Bordeaux hanno adottato approcci diversi per controllare l’offerta.
La Borgogna ha deciso di aumentare la produzione entry-level promuovendo le sue regioni sconosciute e abbracciando il Beaujolais, entrambe misure destinate a spingere i bevitori verso il brand, sperando che alcuni di essi riescano ad apprezzare la gamma più alta – i vini Côte d’Or.
Al contrario, Bordeaux ha tentato di ridurre la produzione perché c’era troppo vino generico. Nel 2005, Plan Bordeaux ha cercato di sradicare 17.000 dei suoi 124.000 ettari di vigneto, con una riduzione di quasi il 14%, anche se una parte della produzione è stata incanalata nella produzione di distillati. Dopo due anni, Christian Delpeuch, il responsabile del Plan, alzò le mani e si dimise: “mi rifiuto di tollerare questo continuo rinvio di decisioni che non possono che portare al fallimento”.
Il piano è naufragato sul nascere, vittima di una eterogeneità di decisioni in assenza di un sistema di cartello centralizzato.
Né lo champagne né il Barolo sembrano avere preoccupazioni di questo tipo.