C’era una volta l’Italia del vino che nel mondo veniva rimproverata di non essere orientata al mercato ma al prodotto, di innamorarsi troppo dei propri vitigni senza preoccuparsi abbastanza di come venderli.
Ci è venuto in mente questo alcune settimane fa leggendo il prezioso e ben documentato articolo de Il Corriere Vinicolo relativo all’evoluzione del vigneto italiano negli ultimi 5 anni. In estrema sintesi i dati più salienti sono la perdurante leadership del Sangiovese che però dal 2010 al 2015 ha perso oltre il 23% di superficie (da 70.289 ettari a 53.865). Come era scontato Glera (Prosecco) e Pinot Grigio in cinque anni sono aumentati rispettivamente del 64,6% e del 143,7%. E ancor più in generale le varietà rosse internazionali calano complessivamente mentre crescono quelle bianche (Chardonnay e Sauvignon blanc in primis). Infine, sempre a volo d’angelo, le varietà bianche complessivamente sono stabili come superficie mentre le rosse sono calate del 10%.
Se dovessimo dare un giudizio complessivo sui dati che abbiamo letto, tornando all’incipit di questo articolo, ci verrebbe da dire che il vino italiano ha decisamente cambiato rotta pensando oggi sempre di più al mercato, forse troppo.
Cerchiamo di farci capire meglio. Essere, come si dice in gergo, market driven (orientati al mercato), è un obbligo per qualsiasi impresa, comprese ovviamente quelle del vino.
Investire esclusivamente nella qualificazione dei nostri vini senza preoccuparsi a chi e come venderli sarebbe chiaramente una follia.
Al tempo stesso, però, e da qui nasce la nostra preoccupazione rispetto a questo “andazzo”, non si può dimenticare che il vino rimane un prodotto dall’alto valore “culturale”, che le dinamiche di consumo del vino non seguono logiche classiche tipiche di molti prodotti del mass market, che la stessa struttura produttiva del vino (la vigna) non può essere violentata a piacimento seguendo esclusivamente gli interessi variabili del mercato (i cicli produttivi, le vocazionalità dei diversi terroir, non possono essere stravolti a secondo delle speculazioni che si vogliono realizzare).
Ma cerchiamo di fare alcune esemplificazioni per spiegare meglio le nostre perplessità.
Partiamo proprio dal Sangiovese che ha perso oltre 16.000 ettari in soli cinque anni, tantissimi. Sarebbe interessante capire meglio le ragioni di questo calo (stiamo indagando a breve avremo qualche informazioni in più) ma la sensazione che abbiamo è che non si è riusciti in Italia a valorizzare meglio le diverse e straordinarie identità del Sangiovese, del nostro vitigno principe. Non è un caso, a questo proposito, che siano oggi, paradossalmente, alcuni dei maggiori critici enologici internazionali a ricercare di loro spontanea volontà, le diversità dei nostri Sangiovese all’interno delle diverse denominazioni, territori in cui è presente. E questo perché tutti, o quasi tutti, sanno che l’omologazione dei prodotti è l’anticamera del loro fallimento, dell’impossibilità di creare una diversificazione di posizionamenti, di identità riconoscibili.
La nostra sensazione è che in questi anni si è fatto pochissimo nella ricerca di una “zonazione” del Sangiovese capace di evidenziare le peculiarità più evidenti almeno nelle denominazioni più importanti dove questo vitigno è presente (dal Chianti al Nobile di Montepulciano).
Su questo fronte siamo a conoscenza di un interessante progetto di Bertani Domains (“Sangiovese Experience”) proprio per dimostrare ad opinion leader e al trade le diversità di espressione dei loro Sangiovese, ma poche altre cose sono state fatto al riguardo.
Anche il Montepulciano ha perso in cinque anni quasi 4.000 ettari, uno dei nostri vitigni rossi più peculiari ed interessanti al quale spesso è stato ascritto, tra le varie positività, quella di avere anche un forte appeal internazionale. Forse non l’hanno pensata così molti produttori che l’hanno abbandonato o ridimensionato fortemente.
Lo stesso Aglianico, altro nostro grande vitigno rosso, seppur poco ha perso superficie nonostante da tempo sia considerata una delle varietà dalle potenzialità più importanti sul mercato, oltre ad una storicità invidiabile.
Quanto di queste due diminuzioni sopra descritte è da ascrivere anche all’incapacità del sistema produttivo di investire maggiormente nella riconoscibilità dei loro vitigni? Pensare al mercato come unico giudice di tutto senza provare a raccontare al meglio ciò che si produce significherebbe, se portato all’applicazione più estrema, praticamente dichiarare defunte non solo molte delle nostre varietà, magari proprio quelle più autenticamente peculiari, ma di conseguenza anche di molte nostre realtà produttive.
Rimanendo sul fronte dei rossi ci sono poi perdite di superficie che portano a considerazioni contrarie rispetto ai tre esempi precedenti, ma che devono far riflettere ulteriormente. Ci riferiamo agli oltre 3.000 ettari di Nero d’Avola persi nel periodo analizzato. Un vitigno considerato fino a pochi anni molto trendy non può essere stato in qualche modo proprio vittima del voler inseguire a tutti i costi le “mode del mercato”, infischiandosene della vera vocazionalità dei terroir dove investire con questo vitigno?
Ormai la riconoscibilità di un vitigno come il Nero d’Avola era (è) diventata operazione realmente ardua con una miriade di diverse interpretazioni molte delle quali decisamente poco interessanti.
E passando ai bianchi ci fa pensare molto la riduzione di oltre 1.600 ettari di Garganega, sicuramente figlia della crisi del nostro bianco storico, il Soave, e della concorrenza dei due big del momento, Glera e Pinot Grigio.
Ma possiamo liquidare anche quest’ultimo caso come un qualcosa di inevitabile, fisiologico, senza invece porsi la domanda di come tutelare, valorizzare meglio le nostre denominazioni storiche, un patrimonio che non possiamo assolutamente permetterci di perdere?
Sono tanti altri gli spunti di riflessione che ci portano i numeri del vigneto italiano attuali e che sicuramente riprenderemo a breve. Nel frattempo lasciamo ai nostri lettori questi, sperando che come sempre generosamente ci offrano il loro prezioso punto di vista.

I rischi dell’evoluzione del vigneto Italia
Abbiamo cercato di “leggere” l’attuale assetto varietale del vigneto italiano con il “filtro” del mercato con, a nostro parere, molte cose sulle quali riflettere