Rientrando dall’Hong Kong International Wine & Spirits fair, un produttore trentino mi esprimeva la sua sostanziale soddisfazione nei confronti della manifestazione (“anche se come sempre i bilanci si possono fare solo nel tempo”); rilevava, però, come anche in molti incontri aveva sentito parlare di “mercato più fiacco”, “saturo”, con “poche possibilità di crescita”.
Prendendo spunto dai commenti del produttore trentino ci è venuto in mente che quasi sempre le osservazioni che emergono sul mercato che si sta affrontando in quel momento sono di tre tipi:

– il mercato visto dagli osservatori statistici che di fatto, a parte le evoluzioni reali, cercano di interpretarne le potenzialità (che sono comunque non certe, ma probabili se la fonte è autorevole);
– il mercato visto dai buyer (importatori, distributori, trade) che di fatto si divide tra quelli che dicono che vi sono ancora margini di crescita (pochi per la verità) e quelli che invece esprimono quasi sempre pessimismo (normalmente sono le realtà più piccole e meno strutturate, a partire da molti, troppi, piccoli operatori di origini italiane che non si sa per quale ragione amano seminare pessimismo sul futuro del vino italiano sui mercati esteri);
– il mercato visto dai produttori che inevitabilmente è condizionato dai sopra evidenziati “osservatori” e dalla loro esperienza diretta e operativa su quel specifico mercato. Tendenzialmente, però, questo va evidenziato con onestà, la maggioranza dei produttori non ama aprirsi troppo sulle valutazioni dei mercati che affrontano (talvolta per “ignoranza” altre volte per evitare di dare info “preziose” ai competitor).
Da questa constatazione emergono, dal nostro punto di vista, alcuni utili spunti di riflessione che come sempre vogliamo mettere a disposizione e a confronto con i nostri lettori.
Prima di tutto pensiamo che l’errore più grave che si può commettere è quello di “subire” passivamente tutte queste diverse osservazioni. E a questo riguardo quando si parla di capacità dell’azienda di analizzare i mercati, di individuare il proprio target, di studiare una propria strategia, di costruire una specifica struttura (risorse umane) per affrontare i mercati è proprio per evitare di cadere negli “umori” spesso superficiali e sbagliati.
Essere imprenditori capaci ed evoluti sta proprio nel ragionare con la propria testa, nel non farsi condizionare da tutto il “chiacchiericcio” che tuttoggi caratterizza il mercato del vino. Forse il meno trasparente tra i tanti comparti economici.
Altro elemento importante, a nostro parere, è la capacità di saper “profilare” i diversi interlocutori dei mercati, importatori in primis. Su questo fronte non vi è solo una responsabilità del produttore ma anche di tutti quei soggetti, noi compresi, che a vario titolo si muovono sul fronte dell’avvicinamento tra domanda e offerta.
Si tratta di un tema centrale sul quale vi sono ancora troppi ritardi e lacune, aumentate anche dal fatto che oggi le evoluzioni nel mondo del trade, della distribuzione avvengono ad una velocità tripla rispetto al passato.
Ma questo non giustifica la cronica difficoltà del nostro sistema (nel suo complesso) di monitorare con più attenzione e cura il mondo del trade, a partire dai soggetti strategici dell’importazione.
Basta ascoltare (stiamo conducendo a questo proposito una interessante ricerca) quanto ci dicono gli export manager delle aziende (siano essi manager esterni o titolari di azienda), che ci evidenziano come tuttoggi la selezione degli importatori avviene in larga misura per fattori casuali (“ho partecipato ad una Fiera e ho conosciuto l’importatore X”, “ero in crociera e leggendo la carta vini ho chiesto chi era il selezionatore dei diversi brand…”, “un mio amico, collega di un’azienda di un’altra regione mi ha segnalato…” ecc.).
Ancora una volta, pertanto, si evidenzia una filiera che sicuramente è cresciuta e sta crescendo ma sono ancora moltissimi i margini evolutivi per dare al nostro sistema vino quegli strumenti indispensabili per essere forte e competitivo oggi e nel futuro.