Tra le tante conseguenze possibili del Coronavirus non avremmo mai immaginato che ci avrebbe anche fatto toccare con mano la drammatica esperienza del razzismo.
L’avevamo già vista nei confronti della comunità cinese del nostro Paese che ha dovuto subire non poche manifestazioni di razzismo quando sembrava che questo maledetto virus non avrebbe mai superato la Grande Muraglia.

Ora che lo stiamo vivendo anche sulla nostra pelle pure noi italiani siamo vittime di numerosi atti in qualche misura razzistici in varie parti del mondo, a partire da un Paese che fino a pochi giorni fa ritenevamo un grande amico, gli Usa.

Un esempio eclatante su questo fronte ci è arrivato in questi giorni da una brava collega connazionale che da alcuni anni vive in California, Laura Donadoni, che più volte ha collaborato anche con il nostro magazine.

Dal suo profilo Instagram (account theitalianwinegirl) ha lanciato due giorni fa un duro “j’accuse” contro quegli organizzatori di eventi, importatori, distributori che in questo periodo non vogliono incontrare produttori e manager del vino italiani.

La Donadoni ha riferito, ad esempio, mostrando anche una mail, che una nota location di New York ha richiesto espressamente a James Suckling, noto critico americano che in questi giorni sta tenendo il suo evento negli Usa, di non invitare italiani alla sua manifestazione perché altrimenti non avrebbe messo a disposizione la propria struttura.
Stesso umore, ha spiegato la Donadoni, si è respirato sempre in questi giorni negli eventi organizzati negli Usa nell’ambito dei “Tre Bicchieri del Gambero Rosso Tour”, dove più di qualche buyer statunitense ha manifestato disagio nell’incontrare produttori o manager italiani.
Un produttore veneto, inoltre, ci ha raccontato sempre in questi giorni che la propria export manager presente al Vinexpo di New York non ha potuto partecipare ad un evento dove era stato espressamente richiesta la partecipazione dell’importatore e non del rappresentante dell’azienda italiano.

Certo, si potrebbe obiettare che non si tratta di una forma di razzismo nel senso più classico, che vivono drammaticamente molti uomini e donne colpevoli solo di avere un colore della pelle diverso o provenire da Paesi non considerati culturalmente “evoluti”.

Ma attenzione, non sottovalutiamo questa tipologia di atteggiamenti che comunque nascondono la cronica paura delle diversità e al tempo stesso evidenziano il dubbio che in determinati Paesi vi sia un’arretratezza che provoca l’ingresso a virus come quello che stiamo conoscendo in questi mesi.
Se prima erano i cinesi “a mangiare topi vivi”, adesso siamo noi ad essere considerati quelli della “pizza al Coronavirus”.
Si fa presto a dimenticare, quindi, secoli di progresso civile, di rispetto delle diversità.
E’ bastato un seppur subdolo virus a mandare all’aria quell’apparente senso civico, quel doveroso rispetto di ogni essere umano.
E’ bastato un virus sicuramente preoccupante per farci tornare alla caccia alle streghe, al “dagli all’untore”, manzoniano.

Anche questi atteggiamenti devono farci riflettere. Soprattutto noi del vino che pensavamo, grazie anche a questo nostro straordinario prodotto di aver avvicinato il mondo, di aver agevolato le relazioni tra uomini e donne di culture diverse.

Non dobbiamo, pertanto, preoccuparci “solo” degli aspetti sanitari, di quelli economici ma anche di quelli sociali.
Non darsi la mano per qualche mese non significa, quindi, dimenticare che siamo tutti uguali, tutti fragili di fronte a nemici invisibili che possono essere combattuti solo attraverso la condivisione e non le pericolose divisioni.

Speriamo che anche su questo fronte questa esperienza, sicuramente difficile, sia in grado di farci crescere.