Sarà la moderatrice del 7° Seminario Internazionale di Marketing del Vino alla Fondazione Mach il prossimo 4 novembre 2016. Chi meglio di Stevie Kim, la Managing Director di Vinitaly International, poteva rispondere alle nostre curiosità in merito a molti dei “temi caldi” del marketing del vino nel mondo, che verranno discussi durante il seminario: evoluzione dei mercati, risorse umane, social media ed E-commerce.
In questa intervista “a fiume” proviamo ad anticipare con lei importanti considerazioni alla luce della lunga e fondamentale esperienza di Vinitaly International per la promozione del vino italiano nel mondo.

Alla luce della vostra esperienza di accompagnamento delle imprese italiane sui più importanti mercati internazionali quali sono i limiti maggiori che avete individuato, soprattutto per quanto concerne le risorse umane impegnate?

Uno dei punti di forza dell’Italia del vino all’estero, ovvero la grande diversificazione di varietà, di denominazioni prestigiose, di brand storici è allo stesso tempo uno dei suoi punti di debolezza. Questa debolezza sta nella difficoltà di sintetizzare questa ricca frammentazione e per farlo servono delle figure professionali preparate e versatili. Le persone chiave chiamate a questo scopo sono soprattutto: il produttore, l’export manager e il brand ambassador, per le aziende più grandi.
Per l’export manager la formazione sul tema specifico, la conoscenza delle lingue, dei diversi mercati, sono degli elementi imprescindibili. Per ogni mercato in cui cerchiamo di entrare o che dobbiamo consolidare è necessario saper adattare il nostro messaggio ad una cultura e a delle abitudini alimentari diverse, per farlo dobbiamo conoscere chi abbiamo davanti e avere anche molta pazienza.
È importante, inoltre, avere una storia originale da raccontare, non pensare che il vino si vende da sé perché il prodotto è buono. Il Made in Italy che funziona non è mai impersonale. Nel caso specifico il vino è un prodotto che crea spesso un legame emotivo tra il consumatore, terroir e il produttore. Per questo è sempre più spesso richiesta la presenza di quest’ultimo a supporto dell’export manager. Per essere vincenti, in qualsiasi cosa si faccia, bisogna essere un buon team e la sinergia tra queste due figure è fondamentale e al momento molto richiesta. Un export manager può aprire un nuovo mercato, ma per consolidarne la presenza dell’azienda all’estero una visita del produttore è indispensabile.
Formazione, sensibilità, pianificazione, pazienza, sinergia, gioco di squadra: questi sono i limiti che mi sento di evidenziare.

Dal vostro osservatorio come si è evoluta l’aspettativa dei mercati internazionali nei confronti dei nostri vini ma anche delle nostre aziende?

L’aspettativa è diversa mercato per mercato, ma nei mercati più maturi vedo un grosso interesse a conoscere ed imparare sempre di più sul vino italiano. Ad esempio negli USA, dove siamo al primo posto nel mercato, il Prosecco che fa da traino ci regala ampio respiro, ma c’è pure un vero e proprio entusiasmo nel conoscere anche le varietà di vitigni autoctoni. Il coinvolgimento con il vino italiano è così sentito che si parla proprio di nuove tendenze come, ad esempio, il Pinot noir dell’Alto Adige dal famoso film “In viaggio con Jack”.
In Paesi invece dove la conoscenza del vino è meno matura, come in Asia, è più difficile per gli importatori locali e i consumatori comprendere la grande varietà. Conseguentemente tendono a basare la scelta su fattori come un prezzo facilmente decifrabile o sull’etichetta del brand. Anche in virtù di dell’osservazione di queste diverse aspettative noi puntiamo molto sull’educazione alla varietà del vino italiano, con progetti come la Vinitaly International Academy e le masterclass tenuti dalle persone certificate da noi.

Siete particolarmente coinvolti sui mercati asiatici, Cina in primis, quali sono ancora i limiti attuali che impediscono all’Italia del vino di poter essere una protagonista vera su questo mercato? 

Il vino Italiano al momento rappresenta solo una piccola parte del mercato cinese. Bollicine escluse, che sono al secondo posto, per il resto siamo dietro a Francia, Australia, Cile e Spagna.
Sono molti i motivi di questa situazione: non siamo riusciti come nella moda a identificare Italia = vino; i vini italiani sono tanti e complicati per i cinesi; negli ultimi anni i cinesi associano a vino italiano la parola acidità.
Un altro limite che trovo è la mancanza di coordinamento generale per tutta la filiera del vino italiano, per poter ottimizzare la massa critica. Altri paesi organizzano eventi e concorsi, tipo quello di blind tasting dell’Associazione dei Vini della Borgogna, a cui hanno partecipato in 5000 e il vincitore ha vinto un viaggio in Borgogna.
Ci sono comunque molte opportunità per il vino Italiano: il consumatore cinese conosce e ama l’Italia, e la diversità, che ora rappresenta un ostacolo, nel lungo termine e con l’education, si rivelerà un nostro grande punto di forza.

Avete investito molto in questi anni sulla comunicazione “social”, quanto questa oggi può essere preziosa per la promozione del vino italiano?

A Vinitaly International siamo sempre stati orientati ad essere naturalmente “social media friendly”, aprendoci anche a canali internazionali e stranieri come nelle piattaforme cinesi di WeChat e Weibo, per citarne alcune.
Vinitaly International ha una squadra interna che si occupa di social media a livello internazionale. Una delle più grandi sfide sono le differenze linguistiche e culturali, anche nello stesso Paese. È quindi importante continuare a comunicare, e farlo con un messaggio essenziale, semplice e soprattutto veritiero: questo è il miglior consiglio che posso dare per l’uso dei social.
Sia un grande, piccolo o medio produttore, la cosa importante è la voce che deve essere autentica e credibile; proprio se questa voce troverà il favore di appassionati di vino in tutto il mondo, potrà riuscire a crescere il proprio business globalmente.
A proposito di social e promozione del vino, il trend da seguire è quello di investire tempo in video corti, anche meno di 3 minuti, e in podcast legati al vino.

Un’altra tematica molto complessa è quella della vendita online. Alla luce della vostra esperienza su questo fronte, quanto l’Italia sta sfruttando (o meno) questa potenzialità?

L’eCommerce è sicuramente la nuova frontiera della commercializzazione del vino e ha un grande potenziale di sviluppo anche nei Paesi in cui la cultura del vino è ancora poco diffusa, come la Cina. Si è cominciato a spingere anche in Italia per la direzione eCommerce soprattutto dopo che Jack Ma, CEO di Alibaba, ha incontrato Renzi a Vinitaly 2016. Questo incontro è stato decisivo. La rete può essere lo strumento per sostenere la crescita del vino italiano in Cina, siamo solo al 5% di vino straniero venduto nel gigante asiatico, contro il 60% dei francesi. Bisogna fare di più.
Uno dei nostri progetti risponde proprio all’esigenza di sfruttare le risorse del web per rilanciare il vino made in Italy in Italia e nel mondo è VinitalyWineClub, che ha anche un’interessante app VINO. È questa la direzione in cui deve andare l’Italia, fornire un unico e riconoscibile canale online di vendita dove chiunque interessato possa con facilità ottenere informazioni e bottiglie di vino dalle nostre pregiate cantine italiane. Ma non dimentichiamoci anche della parte retail, ad esempio in Cina le piatteforme online si stanno organizzando in modo massiccio anche quel settore, cosi detto O2O2O, che significa da online a offline e di nuovo a online.