“Ma come si comporteranno i consumatori quando finalmente saranno fuori da questa maledetta emergenza?”. È una domanda che si sono posti e si stanno ponendo da circa tre mesi ormai soprattutto i produttori, i distributori, i venditori di tutto il mondo.
È chiaro, infatti, che dai comportamenti dei consumatori del prossimo futuro si determinerà gran parte del destino delle nostre economie, compresa quella del settore vitivinicolo.
Tutti i più importanti osservatori economici a livello mondiale stanno monitorando in queste settimane non solo gli andamenti dei consumi ma soprattutto gli atteggiamenti dei consumatori per sondare quello che in gergo viene definito il “sentiment”.
Ed è evidente che il sentiment è legato sia agli umori dei consumatori ma anche, e qualcuno potrebbe dire, soprattutto, alla sua capacità di spesa.
La risposta, pertanto, alla fatidica domanda: “Come ti comporterai alla fine di questa emergenza. Pensi che consumerai di più, o di meno, questo o quel prodotto?”, assume un’importanza fondamentale.
Questa crisi, se rivolgiamo il nostro sguardo al mondo dei consumi, è chiaro che ha colpito soprattutto le fasce di consumatori più deboli, quelli in difficoltà anche ben prima dell’arrivo di Covid-19, e quelle con un reddito legato fortemente alle dinamiche dei mercati (rivenditori, liberi professionisti, ecc.). Pertanto le dinamiche future di consumo saranno inevitabilmente legate anche allo stato di salute delle “tasche” di molte fasce di consumatori.
Al momento non abbiamo grandi certezze e quindi dobbiamo in qualche misura attenerci alle numerose indagini “previsionali” e ad alcune evidenze di questi giorni, alla luce delle “riaperture” soprattutto nel nostro Paese.
Se leggiamo i dati delle analisi previsionali, noi del vino possiamo essere abbastanza ottimisti. Perché non solo la gran parte dei consumatori è rimasta affezionata al vino anche durante il lockdown, con addirittura interessanti aumenti in numerosi Paesi come hanno ben evidenziato le indagini, in particolare, di Wine Intelligence, ma anche in chiave di prospettiva la gran parte degli intervistati ha testimoniato un desiderio di accrescere il proprio consumo.
Il vino, d’altro canto, ha da sempre rappresentato un prodotto fortemente legato alla piacevolezza della vita, un aspetto che probabilmente e giustamente molti consumatori hanno voluto ricercare anche nel periodo di forzata clausura casalinga. Ed è quindi facilmente presumibile che nella fase di riapertura, soprattutto se sarà finalmente libera da Covid-19, il desiderio di ricercare ancor maggior piacevolezza nelle nostre esistenze sarà evidente.
E se volessimo spostarci all’attualità? In questi giorni di effettiva riapertura di molte delle nostre attività quotidiane, soprattutto di quelle ricreative?
I segnali che ci stanno arrivando in questi giorni sembrano abbastanza evidenti: non solo gran voglia di tornare alla normalità, ma addirittura un fabbisogno di condivisione, di convivialità ancor più palese.
Parliamoci chiaro, chi l’avrebbe mai detto che avremmo visto in così poco tempo piazze di nuovo piene, strade affollate al punto di sentire gli appelli accorati di sindaci alla prudenza?
Non vogliamo assolutamente entrare sulla questione della “prudenza o meno” ma ci limitiamo a fare una seppur superficiale analisi sociologica: se il sentiment attuale dei consumatori italiani attuale lo misuriamo sulla loro disponibilità ad affollare anche in questo recente “ponte” della Festa della Repubblica, strade, piazze e spiagge, non possiamo non dirci ottimisti sul futuro.
E non possiamo dire che era scontata questa reazione. Abbiamo letto nei mesi precedenti un mare di analisi psico-sociologiche che descrivevano uno scenario ben diverso, con cittadini che sarebbero rimasti comunque chiusi nelle loro case dopo mesi di “terrore”  legato sia alla realtà dell’emergenza sia alla comunicazione mediatica che ne è scaturita.
Certo adesso la preoccupazione si è spostata sugli eventuali ritorni di contagio che potrebbero sicuramente riportare i consumatori allo stato di qualche settimana fa, ma se ci atteniamo all’oggi la situazione non ci sembra sbagliato definirla incoraggiante.
Chiudiamo questo editoriale con un aneddoto che abbiamo vissuto in questi giorni che testimonia, a nostro parere, quanto abbiamo sottolineato in precedenza.
Approfittando delle aperture concesse in questi giorni dalla nostra Regione abbiamo deciso di “scappare” al mare, finalmente all’aria aperta, per far sfogare soprattutto i figli reclusi in casa da tre mesi.
Siamo arrivati in un campeggio il 30 maggio. Eravamo pochissimi campeggiatori e l’atmosfera era alquanto surreale. Cartelli ovunque evocavano l’importanza del “distanziamento sociale”, le piscine aperte ma con capienza massima consentita ridottissima.
Tutti si muovevano rigorosamente con la mascherina d’ordinanza, sia all’aperto che nei luoghi chiusi.
Poi è arrivato il 1° giugno. Il camping è stato preso letteralmente d’assalto. Tutto si è riempito. Le mascherine all’aperto sono scomparse e le piscine si sono riempite.
Sono rimasti solo i cartelli.
Incoscienza? Gran desiderio di vivere finalmente?
Non sta a noi questo tipo di giudizio.
Ci limitiamo, ancora una volta, a dare solo una nostra modesta valutazione: il distanziamento sociale può e deve essere “solo” un rimedio necessario legato ad un’emergenza reale (come sicuramente quella di Covid-19 lo è), ma chi pensa di educare l’uomo ad una condizione di questo genere per sempre, ha preso, per fortuna, un abbaglio.