C’era una volta solo il Prosecco. Un nome che raccontava di una bollicina facile, immediata, ottima per tutte le occasioni. Un nome che evocava in maniera immediata una tipologia di vino senza mai sentire l’esigenza di dover dare ulteriori spiegazioni.
Dal punto di vista del marketing, della comunicazione, quanto di meglio possa capitare: un nome che già dice tutto.
Ma quanto può durare una “strategia” di questa natura senza che questa “indifferenziazione” rischi di inficiare l’immagine e il posizionamento di una tipologia di vino?

Al momento è solo una sensazione ma se ne stanno accorgendo anche autorevoli opinion leader internazionali, a partire da Lauren Eads che ha scritto recentemente un interessante articolo su The Drink Business riguardo la scelta di molti “prosecchisti” di evidenziare al trade e ai consumatori le loro diversità produttive.
Sembrerebbe, insomma, che molti produttori del Prosecco si stiano rendendo conto che non è più sufficiente nascondersi dietro questo nome e che anzi questo “anonimato” si può trasformare in una vera trappola per tutti coloro che cercano un migliore posizionamento, una migliore reputazione.
I numeri del Prosecco parlano di trionfo scrive Lauren Eads ” ma questo successo maschera anche una verità scomoda: mentre se ne consumano grandi quantità, la maggior parte non viene acquistata sulla base della sua storia storica, del carattere regionale o addirittura della qualità, ma in relazione al suo fascino facile, senza complicazioni e poco costoso“. “Solo pochi consumatori ” prosegue la Eadsmanifestano interesse nei confronti delle diversità del Prosecco come tra la doc e la docg, il Cartizze o le Rive, o, ancor più importante, esprimono il desiderio di pagare di più per prodotti di maggior qualità espressiva”.
L’analisi della giornalista inglese è spietata quanto vera e da tempo noi enfatizziamo questo aspetto legato ai rischi del successo attuale del Prosecco.
Nella storia moderna del vino siamo pieni di case history che testimonia la fragilità di quelle tipologie di vino, di denominazioni che non sono state in grado di evidenziare al meglio le proprie diversità, peculiarità. Basti citare due esempi eclatanti come il Lambrusco e il Moscato per farci capire con facilità.
Ma la Eads evidenzia come recentemente si stiano iniziando a vedere dei tentativi più chiari da parte di alcuni produttori di Prosecco di mettere in risalto maggiormente le proprie peculiarità, a partire dal quelle territoriali.
“Anche perché ” spiega Alex Canetti, direttore dell’off-trade di Berkmann Wine Cellars ” oggi i consumatori non si stanno rendendo conto della miriade di differenziazioni all’interno dell’universo del Prosecco, sia in termini di stile, di caratteristiche gustative (da quelli più fruttati a quelli più floreali”. “In una degustazione alla cieca, ad esempio ” prosegue Canetti ” tu puoi individuare abbastanza facilmente un Prosecco della docg Asolo che normalmente è più rotondo, di maggior struttura (corpo), rispetto ad un Valdobbiadene docg normalmente più elegante con una maggiore finezza. Per non parlare del Cartizze normalmente caratterizzato da maggiore acidità e concentrazione”.
Fino ad oggi, però, queste diversificazioni non sono quasi mai state evidenziate nella comunicazione del Prosecco sia a livello istituzionale (Consorzi di tutela) sia dalle singole aziende.
Una sorta di “strapotere” del nome Prosecco che in qualche misura ha sovrastato anche i singoli interpreti.
Quante volte ci siamo sentiti dire, a questo riguardo:”La nostra forza sta nel nome Prosecco, inutile andare ad evidenziare altre peculiarità che potrebbero spaventare e allontanare i tanti potenziali ulteriori consumatori”.
Ed è proprio nel continuare a considerare il bacino potenziale di consumatori di Prosecco ancora ampissimo dove, a nostro parere, si corre il maggior pericolo.
Avere potenzialità di sviluppo di mercato ancora ampie non significa che si debba concentrare la strategia comunicativa solo sul nome “Prosecco”. Ormai è noto, infatti, che il corretto presidio del posizionamento, come abbiamo scritto numerose volte, risiede nel saper dare una chiare diversificazione del sistema produttivo.
Su questo fronte, però, sempre The Drink Business, ha riportato alcune opinioni di autorevoli rappresentanti dell’universo del Prosecco. Dalle opinioni espresse emerge una certa convergenza rispetto all’importanza di evidenziare meglio le diversità ma vi sono alcuni distinguo tra chi è convinto che questa diversificazione è già chiara e chi invece, la maggioranza, la considera ancora molto lontana dall’essere raggiunta.
C’è chi, come Domenico Scimone, direttore marketing di Carpenè Malvolti che ritiene sia “ancora prematuro aspettarsi che tutti i consumatori possano riconoscere le differenze tra i numerosi territori produttivi del Prosecco. La stessa docg del Prosecco di Conegliano Valdobbiadene è troppo giovane (riconosciuta nel 2009) per poter aver acquisito una corretta notorietà”.
Secondo Gianluca Bisol, invece, presidente di Bisol Desiderio & Figli “la complessità della produzione del Prosecco e le relative differenze tra le denominazioni coinvolte è ben rappresentata dall’attuale piramide qualitativa che vede alla base il Prosecco doc (prodotto nelle 9 province tra Veneto e Friuli Venezia Giulia), nella parte media troviamo l’Asolo Prosecco docg per puoi muoversi verso il vertice della piramide dove troviamo il Conegliano Valdobbiadene Superiore docg. Ed è in quest’ultimo vertice dove si trova il Cartizze e le selezioni delle Rive come espressioni massime qualitative dovute, in particolare, alla caratterizzazione fortemente collinare di questi terroir produttive”.
Non è chiaro, però, se questa piramide “ben rappresentativa” di fatto oggi è percepita non solo dai consumatori ma anche di gran parte del trade a livello internazionale.
Secondo Innocente Nardi, presidente del Consorzio Conegliano Valdobbiadene Prosecco docgè molto importante spiegare al pubblico, dai ristoratori ai consumatori, l’esistenza di questa piramide qualitativa che definisce bene l’universo del Prosecco”.
C’è poi chi come Paolo Lasagni, managing director di Bosco Viticultori che addirittura ritiene che la specificazione territoriale della docg Conegliano Valdobbiadene Superiore “aumenta la confusione all’interno dell’universo del Prosecco, simile a quanto avvenuto nelle denominazioni del Lambrusco che alla fine ha determinato una diminuzione complessiva del valore. Per questa ragione è più che sufficiente tenere separate la doc e la docg, soprattutto se diversificano una produzione di pianura rispetto ad una di collina, ma il termine le Rive può avere una valenza solo locale”.
Molto chiaro, infine, su questo tema Francesco Zonin, vicepresidente di Zonin1821 che ha The Drink Business ha dichiarato:”Lo sviluppo delle differenze territoriali all’interno del sistema produttivo del Prosecco è fondamentale per specificare il valore di ogni singolo terroir ed aiuta a spiegare al trade che il Prosecco non è una commodity indifferenziata, ma esprime un territorio di origine con molte percepibili differenze“.