Katie Gilsenam di Global Web Index, ci guida, dati alla mano, in un’interessante riflessione sulla distanza che passa tra la percezione del problema e l’adozione di comportamenti virtuosi di acquisto da parte degli individui; per concludere che, finchè il “going green” non sarà imperativo per le imprese, il consumo responsabile continuerà ad essere una sfida impegnativa
Va anzitutto osservato che sensibilità ambientale e comportamenti di acquisto variano molto tra le diverse fasce di età. In un anno come quello appena trascorso, ad esempio, il 27% degli intervistati della Generazione Z ha dichiarato di aver acquisto più organic food rispetto all’anno precedente; contro soltanto il 16% dei boomers.
In senso generale va osservato che i prodotti sostenibili non sono sempre una opzione percorribile. Il survey realizzato da GWI su un campione di 2.000 utenti americani della rete e di altrettanti “navigatori” inglesi evidenzia che il fattore prezzo rappresenta la barriera principale all’acquisto di prodotti eco-friendly, sia per i consumatori a basso reddito che per le fasce più abbienti. Se la variabile prezzo rappresenta il nodo principale, giocano il loro ruolo anche la difficoltà di reperimento di prodotti sostenibili e la carenza di informazioni su cosa realmente significhi acquistare prodotti amici dell’ambiente.
Il piano si sposta, chiaramente, sulla corretta comunicazione da parte delle imprese: se il consumatore non riceve un chiaro messaggio non può immedesimarsi nella missione e coinvolgerlo diventa un’impresa complessa.
Ma partiamo dalle origini del problema. Il 25% dei consumatori si dichiara non correttamente informato su quali materiali siano realmente riciclabili ed il 15% su quale sia il modo di trattare i diversi materiali, con notevoli differenze tra fasce di età: il gap informativo emerge prepotentemente tra i più giovani, che, d’altro canto, si dimostrano anche 3 volte più pigri rispetto ai boomers nello sforzo del riciclo. Il che può sorprendere, considerato che la Generazione Z è quella che, a voce, si dichiara in prima linea sui temi ambientali. Certamente gioca la sensazione, difficile da smentire, che le scelte individuali abbiano poco impatto sulla soluzione del problema.
In questo senso, molta responsabilità ricade ancora una volta sulle imprese; sta ai produttori rendere semplice il riciclaggio dei rifiuti. Molti materiali non possono essere riciclati nelle case e devono essere trasportati presso strutture di riciclaggio – un’altra barriera. Circa il 70% dei consumatori intervistati ritiene che le imprese debbano fare di più nella direzione della salvaguardia dell’ambiente: creare prodotti con meno imballaggio, oppure con imballo riciclato, ed essere più trasparenti sulle proprie politiche ambientali.
La tematica dell’imballaggio ha assunto quest’anno una importanza davvero cruciale, se si pensa alla enorme dimensione degli acquisti on-line; che, come si pensa, non cesserà dopo la pandemia. I giganti della tecnologia come Amazon, Facebook, Google e Microsoft stanno giocando una importante partita, nella quale si contendono il primato dell’impresa più virtuosa.
Ma la sostenibilità deve partire alla fonte: i consumatori si aspettano quindi che le imprese facciano importanti investimenti in denaro per rendere eco-friendly i beni che essi consumano e sono pronti a richiederlo a gran voce.
A valle, i consumatori dovranno invece fare i conti responsabilmente con la propria propensione ad investire sul futuro del pianeta e vincere la propria pigrizia.
Se siamo tutti disposti a mettere a servizio della lotta al cambiamento climatico anche solo una frazione dello sforzo collettivo posto in essere per combattere il Covid-19, abbiamo la concreta possibilità di costruire un futuro tinto di verde.