Seguo Italian Wine Brands fin dalla sua genesi e mi è sempre parsa una realtà “diversa dal solito” rispetto almeno ai modelli imprenditoriali del vino italiani più “classici” e “tradizionali”.
Nei giorni scorsi, finalmente, sono riuscito ad incontrare in una delle loro tante sedi a Bardolino (Verona) Alessandro Mutinelli, presidente e amministratore delegato di IWB.
Con lui c’erano anche le responsabili marketing e comunicazione e il direttore commerciale, il che testimonia un approccio alquanto fuori dal comune tra le aziende del vino italiane (cioè quello di presentarsi subito come un gruppo di lavoro e non come un singolo imprenditore o manager).
È stato un incontro decisamente interessante che non posso definire un’intervista bensì uno scambio di vedute a tutto campo e trasparente, assolutamente costruttivo e direi anche per parecchi aspetti istruttivo.
Mi ero già fatto almeno in parte un’idea di quello che è oggi il più grande gruppo privato italiano (180 milioni di bottiglie prodotte all’anno con oltre 50 marchi di proprietà e un fatturato nel 2022 di 430 milioni di euro, con un +5,3% sul 2021), ma devo ammettere che la mia previsione è andata oltre le aspettative al punto che mi sento di affermare che Italian Wine Brands rappresenta l’impresa più contemporanea del nostro settore vitivinicolo.
Cerco di spiegarmi meglio rispetto al termine “impresa contemporanea”. Con questo aggettivo intendo indicare un’impresa che non solo è fortemente orientata al mercato, ma è anche strutturata con logiche assolutamente moderne dove le competenze, nei diversi ruoli, sono il costante faro nelle selezione delle risorse umane. Su quest’ultimo fronte, IWB è l’impresa che più mi ha impressionato in relazione all’intensa attività di formazione interna.
Ma la contemporaneità di IWB non si ferma qui. Si tratta di un gruppo dove il termine “privato” ha assunto un significato pieno e concreto con una proprietà che è realmente nelle mani degli azionisti e di chi risponde ad essi. L’essere stata la prima realtà italiana ad essere quotata alla Borsa valori di Milano testimonia concretamente questa impostazione e sarebbe auspicabile che, finalmente, questo rappresentasse un vero esempio apripista per altre realtà vitivinicole private del nostro Paese.
Ma ritengo IWB contemporanea anche per un’altra importante ragione: la sua indipendenza “politica” che si evidenzia nel loro non ricercare necessariamente di entrare a far parte del mainstream del vino italiano.
Cerco di spiegarmi meglio perché mi rendo conto che quest’ultima affermazione potrebbe apparire poco chiara.
Ho sempre ritenuto che uno dei limiti del nostro sistema vitivinicolo è di essere poco aperto alla pluralità delle voci, delle esperienze delle imprese. Basta andare a leggere ogni anno, ad esempio, la “rassegna stampa” del vino italiano per accorgersi che si concentra sempre in poche realtà (non più di una cinquantina, per essere generosi). Basta andare ad osservare quali aziende partecipano ai cosiddetti eventi “istituzionali” per accorgersi che anche in questo caso con difficoltà si arriva ad un centinaio. Ma basta anche andare ad osservare con un po’ più di attenzione le voci “ufficiali” del vino italiano per rendersi conto di quante siano.
Il mio non vuole essere un rimprovero a questo modello o a quei pochi che sono diventati il mainstream del vino del nostro Paese (la maggioranza di essi per assoluto merito) ma indubbiamente questo rappresenta un limite perché il nostro sistema vitivinicolo è molto di più, anche se questo fatica ad emergere.
Per questa ragione, considero IWB un elemento di rottura che potrebbe veramente aprire le porte ad una maggiore “laicità” del nostro sistema imprenditoriale, andando a scardinare un’impostazione che, a mio parere, è figlia del passato e poco utile per le sfide attuali e del prossimo futuro.
In questa direzione, ritengo che parte della contemporaneità di IWB sia da ascrivere ad un management che solo in parte proviene dal mondo del vino. Si tratta di un gruppo, infatti, che non solo ha accettato la sfida della “contaminazione” sfruttando le esperienze di altri settori, ma che l’ha sposata appieno.
Un’impostazione che porta IWB da un lato ad innovare costantemente, dall’altro a ridare una nuova vita a brand che sembravano destinati ad un lento ed inesorabile declino come, ad esempio, Giordano Vini che, con i suoi 2 milioni di clienti privati rappresenta un esempio decisamente interessante sul fronte della vendita diretta di vino sfruttando tre canali come il web, il mailing e anche un oggetto che sembrava defunto come il telefono. Una dimostrazione perfetta di come un’azienda moderna e organizzata possa stare sul mercato intercettando i profili di diverse tipologie di consumatori, dalla gen Z ai boomers.
Nei prossimi giorni pubblicheremo anche le visioni di Alessandro Mutinelli, emerse dal nostro incontro. Ritenevo tuttavia prezioso evidenziare il profilo, l’impostazione imprenditoriale e manageriale di IWB che, a mio parere, dimostra concretamente che ci può essere un nuovo approccio a fare impresa del vino nel nostro Paese.