Stevie Kim, la vulcanica direttrice di Vinitaly International, mi ha regalato “Italian Wine Unplugged” nel novembre scorso, durante l’Hong Kong International Wine & Spirits Fair. Con il suo accento inconfondibile mi ha detto, mettendomi il libro davanti agli occhi:”Vedi di scrivere qualcosa su questa nostra pubblicazione che ci è costata un mare di fatica e impegno”. Ci ho messo, però, quasi sei mesi prima di scrivere questa recensione.
Ogni volta che Stevie mi incontrava in questi mesi me lo ricordava con una certa impazienza, giustamente.
Perché mi sono preso tutto questo tempo? Semplice, perché l’ho voluto leggere, non come si fa normalmente con questa tipologia di pubblicazioni, per le quali quasi sempre (siamo onesti) ci si limita ad un’occhiata veloce, magari si legge la prefazione, e poi le si mettono ad impolverarsi nei nostri affollati scaffali della libreria.
L’ho voluto leggere con attenzione perché ritenevo poteva essere una pubblicazione utilissima per la comunicazione del vino italiano nel mondo. Ed avendo come Wine Meridian la spesso “mission impossible” di spiegare il vino italiano in varie parti del mondo non potevo non provare a capire l’utilità concreta di una pubblicazione di questo genere.
E allora quello che mi sento di sottolineare prima di tutto è che si tratta di una pubblicazione molto utile, anzi direi preziosa per il vino italiano.
Una pubblicazione che solo dei “non italiani” avrebbero potuto realizzare. E questo perché solo uno straniero poteva individuare una chiave di lettura per interpretare la “torre di Babele” del vino italiano.
Molti autori italiani si sono cimentati in questi anni nello scrivere libri, guide che potessero aiutare a far comprendere la straordinaria biodiversità vitienologica italiana ma pochi, dobbiamo ammetterlo, sono riusciti a cogliere l’obiettivo.
Esagerando, ma serve per capirci, si può considerare Italian Wine Unplugged una sorta di Stele di Rosetta – quella che ha dato un contributo fondamentale alla decodifica di geroglifici egiziani – del vino italiano.
La stele individuata da Stevie e Ian con il contributo di Geralyn Brostrom, Lingzi He e Michaela Morris, tre bravissimi “Italian Wine Maestro” (così vengono definiti i diplomati alla Vinitaly International Academy), per la decodifica del vino italiano è stata quella dei vitigni.
Può apparire come la cosiddetta “scoperta dell’acqua calda” ma spesso è proprio quello che abbiamo sotto gli occhi che ci appare difficile da percepire.
Nella maggioranza dei casi, compreso chi sta scrivendo, ci si concentra nella descrizione dei vini italiani sulle denominazioni. E’ una sorta di deformazioni professionale italiana, siamo cresciuti con il culto delle denominazioni ed è difficile spogliarsi di questo costante condizionamento.
Le denominazioni, però, in particolare quelle italiane, ti portano inevitabilmente a complicare la comunicazione per le enormi diversificazioni che hanno al loro interno, spesso difficili da spiegare (
E c’è voluto Monty Waldin, di Italian Wine Podcat Host, nella sua prefazione ricordarci che l’Italia ha 590 varietà riconosciute ufficialmente, un quarto del totale mondiale, più di Francia, Spagna e Grecia messe insieme.
Poteva un patrimonio di questa natura non assumere il ruolo chiave del contenuto del racconto esplicativo, divulgativo del vino italiano?
Ma leggendo questa pubblicazione ci si rende conto che la descrizione dei tanti nostri vitigni è fatta con il preciso obiettivo di farsi capire, soprattutto ad un pubblico internazionale (ma anche a quello italiano, facciamo presto traduzione nella nostra lingua please), in particolare di tutti coloro che nel mondo hanno la difficile responsabilità di comunicare il nostro vino (sommelier, ristoratori, giornalisti, wine blogger, importatori, distributori, ecc.).
Ci si rende conto del grande sforzo degli autori che si sono posti l’obiettivo ogni volta di tradurre nella maniera più chiara possibile i tanti aspetti “contorti” della nostra produzione vitivinicola come, ad esempio, le 17 diverse varietà di Lambrusco (se pensate che tuttoggi nel mondo, ma anche nel nostro Belpaese, siamo convinti che la maggioranza continui a ritenere che esista solo la suddivisione tra secco e amabile).
Come risultano a mio parere molto utili anche le schede centrali, le “mind maps” realizzate dal bravo JC Viens, relative alle più note 100 varietà italiane. Mappe dove ci si può orientare per capire dove queste varietà sono presenti, la loro origine, le loro caratteristiche gustative più evidenti.
Ci fermiamo qui, al momento, perché dopo averci messo sei mesi ad analizzare questa pubblicazione non vogliamo esaurirla in una sola recensione.
Spiegheremo a breve altre esemplificazioni tratte da questo testo, sopra ogni altra cosa, utile, e non è poco.

Italian Wine Unplugged quando spiegare la grande diversità del vino italiano è possibile
Una pubblicazione preziosa, curata da Stevie Kim, direttrice di Vinitaly International e Ian D’Agata, direttore scientifico di Vinitaly International Academy, che presenta il vino italiano per la prima volta non partendo dalle denominazioni ma dai vitigni