Nel 1976 nasceva Wine Spectator e pochi avrebbero immaginato, a partire dagli stessi fondatori (andate a leggere il numero di novembre del magazine), che si sarebbero accreditati nel tempo come la più autorevole e diffusa testata del vino a livello internazionale.
E’ stato molto interessante, leggendo il lungo speciale dedicato a questo quarantesimo, andare a scoprire quanto l’Italia del vino è stata raccontata in queste quattro decadi e soprattutto come si è evoluta l’immagine del nostro settore in quello che oggi è il più importante mercato mondiale.
La prima cosa che è stata ricordata in questo numero “commemorativo”, che ci riguarda, è il dato delle importazioni di vino negli Usa nel 1980. In quell’anno la nostra quota di mercato era di ben il 58% e, pensate, la Francia (che avevamo superato nell’export nel 1975) ci seguiva come seconda con un bassissimo 13%, veniva poi la Germania (12%), la Spagna 7% e il Portogallo 6%. In quegli anni paesi come Australia, il Cile, la Nuova Zelanda erano ben lontani da poter essere considerati pericolosi competitor sul fronte dell’export. Sempre in quell’anno il quantitativo di vino importato era stato di 43,1 milioni di casse. Sembra un’altra era geologica se si pensa che solo 15 anni dopo, nel 1995, l’Italia scese ad una, seppur ancora ragguardevole, quota del 41% e con la Francia che vide raddoppiare la sua quota di mercato raggiungendo il 26%. Nel frattempo negli Usa entrarono con forza paesi come il Cile (8%) e l’Australia (5%).
Ma quello che maggiormente cambiò nelle importazioni di vino italiano negli Usa furono le tipologie. Basti pensare, come citato da Wine Spectator, che nel 1985 Cantine Riunite esportava negli Usa oltre 9 milioni di casse di Lambrusco scese a circa 1 milione quindici anni dopo. Nello stesso periodo, Antinori, in particolare con il Chianti, salì da circa 55.000 alle 145.000 casse. Un profondo cambiamento che testimonia anche l’evoluzione della percezione dei consumatori americani nei confronti dei vini di qualità. C’è da domandarsi quanto si sarebbe potuto fare per migliorare in quegli anni l’immagine del nostro Lambrusco per evitare un così drastico tracollo.
Sicuramente, come ricorda WS, lo scandalo del metanolo del 1986 ebbe un impatto forte anche sull’immagine del vino italiano negli Usa e quel tragico evento “portò molti produttori italiani a dire basta” (“basta” nell’articolo è citato proprio in italiano ndr). Non è un caso che siano stati quelli gli anni dell’inizio del successo sul mercato americano dei famosi “supertuscans” come il Sassicaia, il Tignanello e il Solaia, tanto per citare i più noti, “vini che dimostrarono al mondo che la Toscana era più di una fonte di vini rossi dal basso prezzo”.
Wine Spectator ricorda che nel 1994 il Governo italiano “finalmente dovette riconoscere anche i blend non tradizionali come capaci di produrre vini di alta qualità, di fatto certificando Bolgheri come la casa del Sassicaia…”.
Arriviamo così ai primi anni 2000 con la crescita vertiginosa negli Usa dell’Australia che nel 2005 raggiunse l’apice della quota di mercato con il 28% di poco sotto l’Italia che nel frattempo era scesa al 31% (ma sempre molto in avanti rispetto al 14% della Francia). L’ascesa dell’Australia fu dettata anche da fenomeni enologici come, forse il più noto, Yellow Tail, una linea di vini varietali, realizzati dalla famiglia Casella nei suoi circa 220 ettari nel New South Wales e venduti a prezzi bassi tra i 7 e i 13 dollari. Nel 2003 Yellow Tail divenne il primo vino importato negli Usa con ben 4,3 milioni di casse.
Tornando all’Italia del vino, WS enfatizza anche un altro anno importante, il 2009 “quando fu riconosciuta la doc Prosecco e che coincise anche negli Usa con un aumento in 5 anni da 900.000 a 4 milioni di casse”.
Sempre sul fronte bollicine il noto magazine evidenzia anche la nascita tra il 2006 e il 2015 della “Moscato mania”, con vendite cresciute da 900.000 a 16 milioni di casse. “Di fatto” scrive WS “il Moscato è stato forse il primo vino importato negli usa che ha intercettato il gusto di tutti, dagli uomini alle donne, dai giovani agli anziani, dai neri agli ispanici”.
Ma dal 2006 al 2014 si è registrata anche la grande crescita del vino domestico negli Usa ed in particolare dalla California (che oggi conta circa 4.000 aziende per una produzione di 300 milioni di casse all’anno) che rappresenta il 90% del vino prodotto in questo grande paese.
Chiudiamo, ma gli aspetti che riguardano l’Italia ricordati in questo speciale del 40° di Wine Spectator, sarebbero molti di più, con i personaggi del vino italiano che secondo l’autorevole del magazine hanno fatto progredire l’immagine del nostro vino sul mercato a stelle e strisce.
I primi due nomi sono certamente Piero Antinori e Angelo Gaja. Non a caso al primo venne dedicata una copertina già nel 1985 e al secondo nel 1989. A tutti e due WS riconobbe il ruolo di diffondere ad Antinori il Chianti di “grande qualità” e i supertuscans, e al noto produttore piemontese di essere stato il primo a portare all’attenzione del mondo il Barbaresco.
Ma su quanto scritto da WS riguardo a Piero Antinori e Gaja torneremo presto perché comprendere le chiavi del successo di questi due uomini, di queste due aziende sul mercato americano aiuta anche oggi a capire eventuali nuove strategie.

L’Italia del vino nei 40 anni di Wine Spectator
Il nostro settore vitivinicolo visto dalle pagine di Wine Spectator, che festeggia quest’anno 40 anni dalla sua prima pubblicazione