Da quanto ha dichiarato Gino Colangelo, patron di Colangelo & Partners, importante agenzia di PR a New York e principale riferimento per la promozione del vino italiano negli Stati Uniti: “Il Covid-19 è sicuramente una grande sfida, ma ha creato anche nuove opportunità. I nuovi strumenti digitali hanno consentito alle aziende italiane di entrare in diretto contatto con i retailer e i consumatori.
In questo modo le aziende possono dare supporto agli importatori per aiutarli a vendere vino e diversificare le attività. La vendita in USA è rimasta inalterata, mentre il modo di vendere è cambiato.
I consumatori acquistano vino dalle piattaforme e-commerce e da altri servizi di vendita diretta, piuttosto che al ristorante.
Ad esempio, la National Prosecco Week che negli anni precedenti aveva organizzato attività di degustazione, quest’anno ha visto una settimana dedicata alla vendita di Prosecco rivolta agli online retailer che erano più di 500. Le aziende vinicole in questo modo ricevono i contatti di questi buyer per supportare gli importatori nella vendita.”
Dello stesso avviso è Tara Empson, amministratrice delegata di Empson USA, la quale osserva che queste premesse funzionano a seconda del tipo di importatore. L’import della sua azienda è concentrato per il 60% sulla ristorazione e, considerando che il 30% dei ristoranti non riaprirà forse prima di ottobre, la ripresa si preannuncia molto lenta.
Anche Matteo Aschieri, Presidente di Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani, riconosce l’incertezza come fattore inibitivo: “I numeri sono buoni perché il Barolo e il Barbaresco sono marchi tradizionali e quindi occupano una grande fetta di mercato (circa il 30%), ma la ristorazione resta un punto interrogativo”.
Importante l’appello lanciato da Nunzio Castaldo, presidente di Panebianco Wines Import, il quale sostiene l’importanza dei consorzi che vanno intesi come collante della catena produttore-importatore-distributore.
Sono necessarie una coesione e un fronte comune perché sia gli importatori che i distributori devono sentire la vicinanza dell’Italia.
Anche Fabrizio Bindocci, presidente del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino, conferma la necessità di creare questa sinergia e di ricercare uno spirito di gruppo.
Dal canto suo conferma che i numeri sono buoni, soprattutto considerando la “fortunata coincidenza” che ha visto molti importatori rifornirsi già da gennaio in previsione dell’introduzione dei dazi.
Gino Colangelo, poi, avanza un suggerimento importante osservando la percezione del vino italiano negli States. La cosa fondamentale è continuare ad educare il consumatore ed è importante la scelta di vendere il brand piuttosto che il singolo vino perché il consumatore preferisce acquistare ciò che gli risulta familiare, non è alla ricerca di nuovi vini.
Va gestita bene la cura del consumatore. Un esempio classico, e forse considerato banale, è dato dai turisti americani che ogni anno visitano l’Italia. Questi rappresentano una cassa di risonanza di grandissimo spessore, infatti, una volta rientrati negli States sono gli ambasciatori dell’Italia e del brand italiano. Per questa ragione è da tenere in considerazione un’attenta attività di follow up che consente di fortificare e consolidare il made in Italy negli Stati Uniti.
Coesione e consapevolezza del brand: questi sono gli ingredienti fondamentali per lanciare le basi di una ripresa solida.