Non posso non scrivere in prima persona questo editoriale perché quello che sto per esprimere è esclusivamente frutto di una mia analisi ed esperienza personale ed è giusto, soprattutto in questa fase, distinguere quello che emerge dall’osservatorio Wine Meridian e ciò che invece nasce da uno di noi.
Ho ritenuto interessante utilizzare la mia esperienza personale in questo frangente della nostra difficile esperienza collettiva, perché ritengo che questa condivisione possa essere utile anche a chi ci legge.
In questi giorni la domanda che mi pongo più spesso è: “Cosa posso imparare di utile da questa esperienza?”.
Innanzitutto, ho pensato – ma devo ammettere anche grazie ad alcune interessanti letture e suggerimenti da parte di persone che considero illuminate – che il primo insegnamento poteva derivarmi proprio dalla “lettura” di quello che ci sta capitando in questi giorni.
E cosa ho letto allora? Parecchie cose.
La prima ha a che fare con lo spazio.
In questi giorni, infatti, ci viene chiesto di stare chiusi in casa, costretti, in gran parte di noi, in piccoli spazi.
Ecco, riguardo a questo aspetto, il mio domani lo vorrei nello spazio che decido io, nel luogo (o luoghi) che preferisco, nelle dimensioni che ritengo più adatte a me.
Se allargo questa riflessione al lavoro, mi piacerebbe pormi meno limiti sul piano degli ambiti che vorrei affrontare e anche delle dimensioni del target a cui vorrei rivolgermi. Non certo per manie di grandezza ma semplicemente nella consapevolezza che quello che sto facendo può essere amplificato meglio, indirizzato in maniera più adeguata.
Se poi allargo ulteriormente questo ragionamento alle aziende del vino, a partire dalle tante che ho conosciuto bene in questi miei trent’anni di lavoro in questo mondo, sono molte quelle che a mio parere oggi sono pronte a spazi diversi, a target più mirati. Quante sono, infatti, quelle aziende che fino ad oggi hanno gestito male il proprio spazio? Quelle che magari hanno voluto cercare a tutti costi mercati lontani e si sono dimenticati di quelli vicino a loro, magari anche più coerenti con la loro filosofia produttiva o dimensioni. Ma quante sono anche quelle che hanno sempre avuto paura di uscire dal proprio “orticello” nonostante fossero da tempo pronte per ampliare i propri mercati.
Senza dimenticare lo spazio inteso anche come dimensione produttiva. Quante sono oggi le aziende che si sentono apposto riguardo questo aspetto? Ci capita tante volte di rivolgere questa domanda ai tanti produttori che quotidianamente incontriamo. Rispetto alla tua attuale produzione ti senti adeguato o vorresti (potresti) aumentare o diminuire il tuo volume? Spesso questa domanda coglie impreparati i nostri interlocutori. Quasi tutti rispondono in relazione alle loro potenzialità di vigna ma quasi nessuno pensa al mercato o, ancor più, a quella che è la dimensione che ritiene più idonea per garantire il profilo qualitativo a cui ambisce.
Altra riflessione che emerge dalla mia osservazione del presente è legata al tempo.
In questi giorni mi sto riappropriando del mio tempo. Bella forza, direte voi, facile farlo quando si è bloccati a casa senza le emergenze continue del lavoro.
Io penso, però, che sarebbe importante mantenere, anche quando, speriamo presto, saremo fuori da questa emergenza, la gestione del nostro tempo.
Sono sempre più convinto che la “mancanza di tempo” è diventato forse il più grande alibi della nostra epoca.
In ambito lavorativo riuscire a gestire meglio il tempo significa poter apportare tanti benefici alla nostra azienda imprenditoriale o manageriale. A partire dal riuscire finalmente a studiare e pianificare le possibili strategie aziendali. Analizzare meglio il contesto in cui operiamo e i mercati che vogliamo affrontare. Capire meglio chi siamo e come vogliamo essere percepiti. Mi fermo qui perché potrei andare avanti in eterno.
Ma sentirsi padroni del nostro tempo significa anche finalmente scegliere le relazioni che ci interessano e smetterla di subirle.
Un’altra riflessione sempre frutto dell’osservazione di questi giorni è legata alla realtà.
Se c’è una cosa che penso abbia disorientato un po’ tutti in queste settimane, o mesi se consideriamo anche l’esperienza vissuta attraverso i racconti dalla Cina, è stata il non avere una chiara percezione della realtà.
Mi verrebbe da sintetizzare questa sensazione con la tipica frase: “Ne abbiamo sentite di tutti i colori”. E direi che questa è una sensazione che in gran parte percepiamo anche oggi, perché sono ancora tanti e contraddittori i molti messaggi e input che riceviamo quotidianamente, sia a livello istituzionale che attraverso i canali cosiddetti informali.
Ma quante volte, mi sono chiesto, abbiamo guardato la realtà, ben prima di questo maledetto coronavirus, con gli occhi offuscati, annebbiati dal pregiudizio o semplicemente dalla mancanza di corrette informazioni?
Su questo fronte penso che l’esperienza attuale sia preziosa per farci capire che non possiamo più costruirci la realtà che ci fa più comodo (o scomodo talvolta) ma finalmente provare a leggere ciò che accade all’interno delle nostre aziende o sui mercati con la giusta obiettività.
E cosa ci porta all’obiettività se non lo studio costante, l’abbandono dei pregiudizi, il coraggio di ammettere anche i nostri sbagli, di riconoscere i nostri limiti?
Ultima riflessione che ho ricavato da queste giornate così “diverse dal solito” deriva da quello che considero la cosa più importante e cioè “vogliamo stare qui per stare meglio”.
Sono giorni che per molti di noi immagino siano caratterizzati anche dalla paura. Paura alla quale talvolta riusciamo a dare un nome, ma spesso non siamo in grado di darne un reale contorno.
Non è facile e tanto meno bello vivere nella dimensione costante di paura.
Se la paura può essere preziosa per farci reagire in maniera adeguata e tempestiva in determinate situazioni di pericolo, tutti ormai sappiamo come sia deleteria se diventa una costante della nostra esistenza.
Non ho nessuna ricetta per aiutare gli altri a stare lontani dalla paura. Potrei solo dire cose ovvie e banali.
Mi posso, però, limitare a raccontare cosa sto facendo io per non essere costante vittima della paura. Sto pensando sempre di più che voglio rimanere qui, vivere per stare meglio, non per sopravvivere.
E per questo, mai come in questi giorni mi sto aprendo al nuovo che talvolta si manifesta come un desiderio “vecchio” che non sono mai riuscito ad esaudire per problemi di “spazio”, di “tempo”, per non essere stato cosciente della “realtà”, quella vera.
Vi ricordano nulla queste parole?