I monaci zen giapponesi amano una frase di Lao Tzu, filosofo cinese: “Bisogna essere come l’acqua. In un recipiente quadrato, è quadrata. In uno tondo, è rotonda“. Il brano originale è più lungo, ma si riassume in quello che i Giapponesi sanno forse fare meglio: adattarsi. Riprendiamo quindi i cinque punti dell’articolo che ho scritto qualche settimana fa (qui) e affrontiamo assieme le possibili soluzioni ai 5 cambiamenti che sta affrontando il mercato del vino in Giappone. Proviamo dunque ad assumere “la forma del vino” adattandoci al nuovo contenitore.

1 Il mercato frammentato. Non potendo più fare affidamento su di un grande importatore, al quale affidare tutta la gamma, la soluzione ad un mercato frammentato è frammentarsi. I produttori grandi e strutturati hanno in genere una estensione piuttosto ampia di prodotti, da quelli cosiddetti “base” ad arrivare a riserve e così via. Bisogna risolversi a dividere l’offerta tra più importatori, affidando i grandi numeri ed i prezzi competitivi ad importatori in grado di distribuirli tramite grandi catene di enoteche, catene di ristoranti e clienti simili; affidando le bottiglie di maggiore pregio a importatori più piccoli ma più strutturati a distribuire a clienti adeguati. I produttori piccoli dovrebbero invece dimenticare i grandi importatori, che non hanno più né tempo ne risorse da dedicare al loro sviluppo, e cercare una soluzione su misura, un importatore estremamente specializzato che abbia modo di valorizzare al meglio bottiglie particolari. Gli export manager che gestiscono più di un produttore lavoreranno meglio se possono proporre un portafoglio ampio, che spazi dai vini dal forte rapporto qualità prezzo a gamme più alte, e magari brand prestigiosi, abbandonando l’estrema specializzazione.

2 La scoperta dei vini “nuovi”. L’aprirsi del mercato alle “novità” è sicuramente positivo, rende il paese accessibile anche a chi non produce denominazioni universalmente conosciute da tutti. Il vero ostacolo qui è l’investimento necessario, e il recupero dello stesso. L’iter per iniziare un rapporto commerciale serio in Giappone non varia tanto tra piccoli e grandi importatori; resta esclusivamente un fatto di cultura. Con il risultato che per i piccoli produttori lo sforzo è davvero importante. Credo la soluzione sia frammentarsi al contrario, ovvero riunirsi in gruppi di piccoli produttori, ovviamente non in competizione tra loro (mai stesse denominazioni a prezzi simili), e affrontare il paese con un piano chiaro e organizzato, siano roadshow, partecipazioni a fiere, contatti diretti tramite professionisti; quello che si decide sia il meglio, l‘importante è avere un piano, altrimenti non si vince, esattamente come in una partita a scacchi. In questo modo dividere impegni economici e di tempo diventa sostenibile e recuperabile anche su piccoli volumi.

3 L’occidentalizzazione (in peggio) delle “business manners”. Probabilmente il più inaspettato dei cambiamenti, almeno per chi frequenta il Giappone da tempo. La banale soluzione è occidentalizzarsi ancora di più, affrontando la parte burocratica del rapporto in modo puntiglioso. In poche parole contratti di fornitura solidi e dettagliati. Si incontreranno resistenze, soprattutto per quello che riguarda le quantità, ma bisogna (gentilmente) insistere e arrivare ad ottenere una certa tranquillità “nero su bianco”. Questo non risolverà il problema delle vendite e dei risultati, che arrivano solo al soddisfarsi di innumerevoli condizioni non sempre totalmente gestibili, ma almeno vi ritroverete, anche se il rapporto si risolvesse per mancanza di risultati o di loro interesse, a gestire giusti preavvisi, magari ad avere un elenco dei clienti serviti sino a quel momento e tante altre piccole e grandi cose che vi metteranno in condizione di cambiare importatore un minimo più agevolmente. Nonostante il cambiamento di abitudini, un accordo scritto viene ancora visto come un forte obbligo al quale difficilmente non si sottometteranno. Quindi siate puntigliosi, e scrivete tutti i punti ai quali tenete. Non temete, loro non se ne avranno a male, potrebbero anzi considerarlo un punto positivo a vostro favore, visto che comunque la leggerezza nei rapporti professionali, così come la scarsa precisione, restano ancora un cliché nei riguardi di noi italiani in Giappone.

4 La burocrazia. Questo è invece un punto estremamente positivo, che ci vedrà finalmente sempre più liberi da quella burocrazia che, tempo fa, moltiplicando le esigenze moltiplicava le possibilità di errore, con relative spese e disagi. I dettagli operativi dell’accordo di libero scambio siglato tra Giappone e Comunità Europea lo scorso dicembre non sono ancora disponibili. Due cose le sappiamo: entrerà in vigore agli inizi del 2019 e sarà una notevole semplificazione. Le tempistiche coincidono perfettamente con lo svolgersi delle Olimpiadi a Tokyo nel 2020, anno che loro stanno considerando come importantissimo per il mercato del vino, mentre sono già piuttosto preoccupati per gli anni successivi. Quindi il consiglio è arrivarci davvero preparati, anche perché potete scommettere che i cugini francesi, europei come noi, ci arriveranno parecchio preparati, lo stanno già facendo. Quindi spingete sin da adesso: se avete già un importatore iniziate a chiedere programmi per il 2019, citate l’accordo, sfruttate per primi il potenziale entusiasmo che ne può derivare. Proponete una piccola scontistica, spiegando di voler mettere a disposizione del mercato la riduzione dei costi. Insomma siate creativi nello sfruttare il momento. Se invece un importatore ancora non lo avete, allora direi che è il momento giusto per cercarlo.

5 La facilità del viaggio. Questo è un punto davvero semplice, riassumibile con una sola semplice frase: finalmente potete rilassarvi e godervi il Giappone. Potete finalmente fare tutto quello che fareste in una città europea. Attenti solo alla cultura, quella non è cambiata. Divertitevi senza timori, buon Giappone!