Abbiamo raccolto idee e testimonianze di Luca Maroni, analista sensoriale e autore dell’ “Annuario dei migliori vini italiani 2020“, giunto alla XXVII edizione.
Per quanto riguarda il mercato italiano, al di là dell’emergenza attuale quali sono i cambiamenti e le prospettive che lei sta riscontrando?
Il coronavirus impatta il vino italiano in un momento di grande espansione commerciale sui mercati esteri. Proprio in novembre sono stato in Cina ed in Vietnam, dove ho potuto constatare di persona l’entusiasmo culturale e sensoriale con cui vengono accolti i nostri grandi vini.
Entro pochi anni avremmo superato le esportazioni di vini francesi in questi paesi, si tratta solo di rimandare tale felice fase espansiva e di acquisizione di leadership.
Quello che conquista del nostro vino è la varietà nella qualità e la qualità nella varietà. Inoltre i popoli orientali percepiscono intuitivamente il vino come tessuto connettivo, storico, agricolo, culturale e spirituale degli uomini del nostro paese. Per non parlare poi del rapporto qualità/prezzo, parametro rispetto al quale il vino italiano ha pochi concorrenti nel mondo.
Prowein prima ed ultimamente Vinitaly sono stati posticipati all’anno prossimo…qual è la sua opinione rispetto a queste difficili decisioni degli enti fieristici?
Inevitabile. Cos’è una fiera senza pubblico, compratori e visitatori? Dopo un anno di astinenza, confidando nella risoluzione globale del problema sanitario, saranno un Prowein ed un Vinitaly – per tutti – memorabili.
Le strategie per sopravvivere alla crisi: diversificazione dei mercati e dei canali, con l’e-commerce e la Gdo che diventano vitali. Lei si ritrova in questa affermazione?
Assolutamente. Il trend commerciale degli ultimi anni già vedeva questi due canali erodere progressivamente quote a quelli più tradizionali. E la congiuntura accelererà tale travaso. Consiglio vivamente alla grande distribuzione di procedere ad una qualifica delle modalità di esposizione e vendita dei vini italiani. Uno scaffale indistinto e non comunicante, non vende. Il vino non è una bibita, acqua minerale, o birra, entità industrialmente replicate. È un prodotto umanamente molto diversificato, essenza di una terra ben distinta ed unica.
Basterebbe illustrare la selezione, la qualità essenziale di ogni vino segnalando le pregnanti doti sensoriali ed indicando gli abbinamenti consigliati per aumentare notevolmente le performances in termini di vendita. Per promuovere la cultura del vino e la magnificenza naturalistica delle zone produttive italiane da cui prende vita.
Pensa che gli strumenti digitali in questa fase possano assumere un rilievo maggiore?
Assolutamente si. Pensiamo al successo di applicazioni come Vivino e Winelivery, alla crescita del canale delle vendite online che registrano i leader come Tannico, Giordano, ecc.. Io ho da sempre creduto e investito molto sull’online, rendendo gratuitamente accessibili sul mio sito www.lucamaroni.com le 500.000 pagine di informazioni sui migliori vini italiani di oltre 8.000 produttori ed i risultati di oltre 245.000 degustazioni effettuate nei miei 30 anni di attività di analista sensoriale applicato al vino.
Ma vorrei vedere il web maggiormente sfruttato dai produttori: sogno una scheda filmata di ogni azienda con stupende immagini del sito naturalistico produttivo, con ogni vino illustrato direttamente nel vigneto dal proprio produttore. Per vendere su Internet occorre infatti motivare, illustrare, descrivere e raccontare…e sempre più la vendita potrà e dovrà essere un’esperienza emozionale-immersiva nella realtà produttiva.
Abbiamo parlato di crisi e difficoltà ma in questo momento sono necessari spirito di sacrificio e positività. Lei intravede degli aspetti di crescita anche in questo difficile frangente storico?
Assolutamente si, basterebbe che il vino ergonomizzasse se stesso. Ossia si rendesse disponibile al consumo in modo più diretto (senza un cavatappi non posso accedere al vino), in modo meno pesante (una bottiglia pesa più di 1 kg, una cassa da 6 circa 9 kg) e in micro-porzioni ottimali (per due bicchieri non apro una bottiglia da 750 ml).
Non a caso alla base della piramide del grande vino italiano c’è il Tavernello della Caviro, impeccabile da un punto di vista sensoriale e rispondente alle esigenze di un consumo più agevole. Tanto più allora i produttori italiani agiranno nella direzione di prevedere nuovi e più accessibili formati e tanto più il vino riprenderà il suo fondamentale ruolo di immancabile compagno di ogni nostro pranzo. Penso che l’optimum in tal senso siano le bottigliette di vetro da 187,5 ml con tappo a vite. Ovvero due bicchieri di vino con cui ristorarsi a pranzo e a cena per un consumo totale sine die di 375 ml di vino, quantitativo ritenuto da molti studi scientifici mondiali come consono per il nostro organismo.
La crescita del vino potrà solo esser l’effetto dell’incremento del consumo del vino. Stiamo lavorando per questo? A mio avviso poco o niente affatto.
Il consumo del vino pro-capite in Italia nel 1972 era intorno ai 130 litri annui (guarda caso pari a 350 ml giorno). Oggi è a 29 litri (7,95 ml giorno).
Erano tutti ubriaconi e ciccioni i nostri padri o i nostri nonni? No, ma non esisteva per loro una tavola priva di vino, sia a pranzo che a cena.
Oggi il vino è scomparso dal desco quotidiano degli italiani, si beve solo quando si esce a cena fuori (tanto e spesso troppo), ma mai a casa propria, men che mai a pranzo. Perchè? Perché ingrassa, perché mi ubriaca e mi ritirano la patente essendo il vino alcool, perché non apro una bottiglia per uno o due bicchieri e infine perché è costoso.
Argomentazioni che è possibile controbattere una per una.
Il vino ingrassa: un bicchiere di vino da 100 ml di 12,5 gradi ha circa 70 calorie, una birra da 330 ml ha 100 calorie, un panino con prosciutto circa 340, un’insalata con pollo 132 calorie.
Nessuno si ubriaca bevendo due bicchieri di vino da 12,5 gradi durante il pasto, ovvero i citati 187,5 ml, quantitativo che, se consumato durante i pasti, permette di non superare il limite massimo consentito di alcol residuo nel sangue pari a 0, 5 g/l.
Il vino non è alcol, è principalmente acqua (per il 96-98% della sua composizione) e contiene alcol in misura del 12,5% del volume totale, ovvero 100 ml di vino contengono circa 10 grammi di alcol.
Ho già parlato della necessità di ergonomizzare i formati.
È infine da osservare che il pregio maggiore del “Rinascimento Enologico” compiutosi negli anni 2000 è che i vini che sono stati perfezionati maggiormente sono proprio quelli alla base della piramide. Oggi un vino in vendita presso la grande distribuzione nella fascia 3/5 Euro è di qualità analitica e sensoriale sostanzialmente impeccabile, assai più alta che nel passato.
Ecco il motivo per cui è possibile auspicare e promuovere una campagna di sensibilizzazione al consumo moderato e consapevole durante i pasti dei grandi vini italiani.
Ecco, spero che questo momento induca a sviluppare queste considerazioni riportando il consumo pro-capite del vino su valori praticabili con piacere e senza alcun rischio per l’estetica, la sobrietà, l’ordine e la salute pubblica.
E spero così che il vino italiano torni ad essere il compagno immancabile di ogni nostra quotidiana ristorazione.
Quali saranno le nuove tendenze del bere e del vino nel bicchiere?
Profumi, profumi, profumi. Si beve e si berrà sempre di più con il naso. A fare la differenza sono e saranno i profumi. Il Cabernet Franc e il Lacrima di Morro d’Alba fra i rossi, il Merlot fra i rosati, le Malvasia e gli stupendi Moscato, ormai rivalutati e declinati in splendide versioni morbidamente avvolgenti. Il futuro vedrà anche la produzione di vini dal moderato grado alcolico, a basso impatto sull’organismo e a basso contenuto chimico grazie all’ulteriore incremento dell’impiego della fisica nel procedimento di trasformazione enologica delle uve.