La scorsa settimana (a Londra, San Francisco e Sydney) si è tenuto il consueto esame finale per coloro che hanno intrapreso il complesso percorso formativo per diventare Master of Wine (www.masterofwine.org) Un titolo che ormai da tempo identifica quelli che si possono considerare i maggiori esperti di vino al livello internazionale.
Un percorso al quale possono accedere coloro che hanno una cosiddetta “Wine Qualification” (come minimo un diploma Wset, o un master/laurea in enologia/viticoltura, wine business, o anche un certificato elevato di sommelier), almeno tre anni di attività professionale all’interno del settore vitienologico, infine una supporto (referenza) da parte di un master of wine o di qualche altro senior appartenente al wine trade professionale.
A quest’ultimo esame sono arrivati più di 150 studenti provenienti da tutto il mondo e hanno dovuto sostenere tre blind tasting (degustazioni alla cieca) di 12 vini l’uno; cinque test teorici aventi oggetto la viticoltura, la vinificazione e le pratiche pre-imbottigliamento, modalità di servizio del vino, winebusiness e problematiche attuali legate al mondo del vino.
Le statistiche di questi anni evidenziano che circa solo il 10% di essi riuscirà a portarsi a casa l’ambito titolo.
Un titolo inseguito spesso per molti anni dai sempre più numerosi candidati con costi decisamente elevati (circa 15.000 sterline l’iscrizione oltre ai vari viaggi in giro per il mondo e l’acquisto di un mare di vino).
Come spesso accade all’interno del nostro comparto queste figure professionali, che per molto tempo hanno agito in una sorta di anonimato, da alcuni anni sono diventati particolarmente popolari e alcuni di essi hanno una grande notorietà come ad esempio l’ormai famosissima Jancis Robinson.
Per avere un po’ più chiaro il percorso formativo di questa figura professionale di seguito riportiamo alcune delle domande di quest’ultimo esame finale, scegliendole sia tra quelle riferite a temi viticolo/enologici a quelle legate al wine business:
– La temperatura è una delle variabili ambientali con il maggiore impatto sulla coltivazione della vite. In che modo la temperatura incide sulla viticoltura?
– La disponibilità di acqua è una delle problematiche più complesse in numerose aree vitivinicole a livello mondiale. Come può un produttore gestire al meglio questa risorsa assicurando una corretta sostenibilità dell’acqua attraverso una adeguata gestione del vigneto in aree vitate con ridotta disponibilità idrica?
– Quali sono le principali fitopatologie con le quali si confrontano oggi i viticoltori e quali i migliori metodi per gestirle?
– Il Sauvignon Blanc si presenta nel mondo con numerosi diversi stili. Confronta e contrapponi le diverse pratiche vitienologiche utilizzate nel mondo.
– Confronta e metti in contrapposizione le diverse tecniche enologiche maggiormente utilizzate per la produzione di Syraz nella Cornas (denominazione francese a sud di Lione), nella McLaren Vale (Compare and contrast winemaking techniques best employed for Syrah grown in Cornas, McLaren Vale (sud Australia) and Hawke’s Bay (Nuova Zelanda).
– Come oggi il ruolo degli intermediari tra produttore e consumatore può essere giustificato? Fornisci alcuni esempi provenienti da diversi mercati del vino.
– Hai ereditato l’equivalente di 10 milioni di dollari US e desideri investirli nell’industria del vino. Come spenderesti i tuoi soldi per garantirti il miglior ritorno sugli investimenti? Spiega la tua logica.
Si tratta solo di una breve sintesi di alcune domande che riteniamo facciano capire bene, meglio di tante chiacchere, la difficoltà e l’incredibile “interdisciplinarietà” di questo faticoso percorso formativo.
Alla luce di tutto ciò a noi appare interessante porsi almeno due domande che sono poi legate tra loro: quanto è, o potrebbe, essere utile alla filiera vitivinicola questa figura professionale? Perché sempre più soggetti da tutto il mondo cercano di intraprendere questo percorso così difficile?
Partiamo dalla seconda domanda. A nostro parere la rincorsa a questo “titolo” è dettata, in particolare, da tre fattori: il primo è indubbiamente il prestigio che tale riconoscimento di “regala” e il conseguente utilizzo sul fronte professionale (e di immagine); il secondo è legato ad una crescente consapevolezza che solo attraverso una adeguata formazione, competenza interdisciplinare si può diventare manager capaci di dare contributi utili allo sviluppo della filiera vitivinicola (insistiamo sul termine “filiera” perché riteniamo, come avviene poi nella realtà, che il ruolo del master of wine può esplicarsi su più segmenti, dalla parte produttiva a quella di marketing fino arrivare a quella distributiva); il terzo, non certo per importanza, è legato invece alla consapevolezza che solo una conoscenza “internazionale” del mondo del vino oggi può portare a diventare professionisti “universali” di questo complesso settore.
Ma se quanto abbiamo evidenziato nella risposta sopra riportata è vero, possiamo oggi dire che i master of wine stanno svolgendo al meglio il ruolo per il quale hanno investito un sacco di tempo e risorse? E ancora, sono sfruttati in tutte le loro potenzialità dalla filiera vitivinicola internazionale?
Non è ovviamente semplice dare una risposta sintetica a queste due domande e non abbiamo certo noi la presunzione di conoscere in maniera esaustiva il ruolo attuale di tutti i master of wine nel mondo (sono poco meno di 400 e ancora non vi è nessun italiano, ma speriamo per poco ndr). Però riteniamo utile dare alcune nostre valutazioni che speriamo possano alimentare una costruttiva discussione.
La prima valutazione che ci sentiamo di fare è che ci si sta concentrando troppo sulla “mitizzazione” del master of wine e non del suo ruolo strategico nello studiare e dare un contributo fondamentale nella costruzione di un linguaggio universale del vino.
Nessuno come loro studia, confronta e riconfronta migliaia di vini provenienti da tutto il mondo durante l’anno. Nessuno come loro cerca di capire l’origine, le motivazioni più concrete delle caratteristiche organolettiche e gustative dei vini. Nessuno come loro cerca di trovare strumenti comunicativi capaci di tradurre l’anima più autentica dei vini in un racconto percepibile a qualsiasi latitudine.
Ma questo forse ancora non è passato in maniera chiara e li si immagina come una nuova categoria di “critici enologici”, invece di “sfruttarli” come i partner strategici per costruire un nuovo e indispensabile linguaggio del vino.
Loro però, ci rivolgiamo ai master of wine, non devono isolarsi, costruirsi una torre d’avorio o peggio ancora diventare una sorta di setta irraggiungibile. Devono accettare la sfida costante del confronto con tutti gli operatori della filiera, alcuni di loro lo stanno facendo ma è bene che tutti riescano ad aprirsi.
Il loro percorso formativo li obbliga a confrontarsi con l’azienda, la vigna, la cantina, la distribuzione, il mercato in tutti suoi aspetti.
Questo consente loro di acquisire competenze preziose che per essere messe a sistema a vantaggio della filiera devono essere divulgate costantemente nella maniera più adeguata non per dimostrare la “bravura” del professionista ma a vantaggio di chi produce e vende il vino.
Di questo abbiamo bisogno e i master of wine, a nostro parere, possono darci ancora molto di più.