Nel 2019 il commercio mondiale ha movimentato 9 milioni di ettolitri di vino spumante, con un aumento dell’8% sul 2018 e di quasi il 90% rispetto al dato di dieci anni fa. Dopo la leggera battuta d’arresto registrata nel 2015, il segmento ha inanellato continue crescite (in media mezzo milione di ettolitri in più l’anno), con il 2019 che ha registrato quella più ampia in assoluto: oltre 670.000 ettolitri.

Anzichè concentrarci sui mercati principali (Usa, UK e Germania) che negli anni hanno cumulato il grosso dell’incremento generale delle importazioni – dei 4 milioni di ettolitri di aumento nel decennio ne hanno generato il 40% – vogliamo prendere in esame Asia e Africa, continenti dove lo spumante è ancora poco conosciuto e in cui esistono ampi margini di miglioramento e larghe quote di mercato da insidiare.

I dati da cui partiamo, ripresi da un dossier dedicato de Il Corriere Vinicolo, fanno riferimento alle prime due settimane di aprile, di conseguenza non possono essere perfettamente in linea con la situazione attuale vista anche l’estrema aleatorietà del momento.

L’Asia è un continente immenso e caratterizzato da una disomogeneità molto marcata, per questo è utile analizzare i dati suddividendoli in blocchi.
Inoltre i dati illustrano le grandi difficoltà per la categoria degli spumanti in quest’area, soprattutto in termini di volumi.
Per quanto riguarda le performance relative al tasso di crescita annuo (CAGR) dell’ultimo lustro (2014/2019) rispetto al precedente (2008/2013) l’area Giappone-Coree e indiana hanno registrato le crescite maggiori (+6% e +20%), ma rispetto al quinquennio precedente tutti i blocchi geografici presi in considerazione sono in arretramento soprattutto Cina, India e Repubbliche Ex-sovietiche.

Per quanto riguarda le quote a volume relative al 2019, nel continente asiatico circa la metà (48%) sono assorbite dall’area Giappone-Corea che copre inoltre il 5,5% della quota percentuale dei volumi a livello mondiale. Il Giappone detiene l’89% della quota dell’area lasciando alla Corea del Sud il restante 11%. Un 18% è destinato all’area mediorientale, con i due principali mercati che registrano trend opposti: gli Emirati Arabi crescono e raggiungono il 42% della quota volume totale mentre il Qatar subisce una flessione, pur coprendo il 40% del totale. Israele detiene l’11% dei volumi totali dell’area mediorientale ma nell’ultimo lustro subisce un decrescita dell’1%.

L’area che gravita attorno alla Cina (6 Paesi in totale) è in forte decrescita e fa poco meno di 180.000 ettolitri (17% del totale 2019), di cui il 76% fa rotta diretta su Pechino: da +31% del 2013/18 allo zero del secondo lustro con Hong Kong che perde 20 punti percentuali (dal +16% del 2013/18 al -4% del 2014/19).
Nel Sudest asiatico – 130.000 ettolitri totali, il 13% del totale Asia – il monopolio dei traffici è detenuto da Singapore, in forte dinamica negativa nel secondo quinquennio (da +9% a +1%, di fatto ipotecando le performance dell’area). Singapore monopolizza l’import in volume con l’85% del traffico lasciando poco spazio a Thailandia (8%) e Filippine (4%).

Le ex repubbliche sovietiche (2%) e l’area indiana (2%) rappresentano aree periferiche con volumi ridotti ed in decrescita. L’area Ex-Urss è dominata dal Kazakhstan che ha avuto un forte calo (-26 punti a -4% nel secondo lustro). Anche l’India è in rallentamento rispetto al quinquennio 2008/13, ma resta comunque in dinamica positiva (+20%).

Per quanto riguarda l’Africa l’andamento è senz’altro più positivo con i maggiori paesi importatori tutti in crescita.
La Nigeria (37%) e l’Angola (20%) detengono le maggiori quote a volume, a seguire Ghana (7%) e Sudafrica (5%).
La Nigeria è una delle mete africane principali per lo Champagne e l’Angola per i vini portoghesi.
Nell’ultimo lustro (2014/19) la Nigeria è cresciuta del 32%, l’Angola è rimasta stabile allo 0%, il Ghana ha impresso una accelerazione al 63% ed il Sudafrica si è attestato su un +18%.