In tutti i nostri interventi “a distanza” di questi mesi, abbiamo filtrato le nostre valutazioni e quelle numerose che abbiamo ascoltato da altri, attraverso la seguente chiave di lettura: in fasi di crisi così complessa è fondamentale avere una chiave di lettura che non ci leghi completamente alle “paure” del presente ma sia in grado di mantenerci lucidi ricordando da dove veniamo e dove vogliamo andare. Allo stesso tempo è importante comprendere che le “abitudini” dell’oggi potranno condizionare (in positivo e in negativo) anche le scelte del futuro.
Ci sembra un’impostazione fondamentale per evitare di non essere in grado di riprogrammare in maniera adeguata il dopo, il futuro che speriamo sia prossimo.
La nostra “chiave di lettura” del presente, inoltre, è frutto anche di un’altra considerazione: possiamo ritenere i cambiamenti attuali figli solo dell’emergenza o alcuni sarebbero stati comunque inevitabili anche in una situazione di “normalità”?
Per dare una risposta a questa domanda proviamo a tornare indietro di 34 anni, al 1986, l’anno nefasto per il vino italiano, contrassegnato dal dramma del metanolo. Uno scandalo che ha rappresentato solo la punta dell’iceberg delle problematiche del vino italiano che da troppo tempo viveva su un’impostazione prettamente produttivistica, senza nessun riferimento alle tematiche qualitative.
Dal 1986 in poi il vino italiano ha attraversato diverse fasi, da quella pionieristica che ha visto alcune aziende italiane cimentarsi per la prima volta sul fronte di una vitivinicoltura di alta qualità, basata in gran parte sul modello “bordolese”, per passare da quella parossistica, che ci ha portato fino a quasi il 2003/2005, durante la quale la domanda di vino di qualità superava l’offerta, caratterizzata da una grande esposizione mediatica, da un forte incremento dell’internazionalizzazione delle imprese, dal ruolo chiave della critica enologica, dai wine maker di prestigio. Poi siamo entrati, anche a cause delle prime crisi economico-finanziarie, in una fase di riflessione dove concetti come la sostenibilità, nel suo complesso, sono diventati dei mantra anche per il nostro settore vitivinicolo. Una riflessione che ha portato e stava portando tutt’oggi il nostro sistema vino a profondi processi di trasformazione dettati da un enorme fabbisogno di miglioramento delle competenze e delle capacità imprenditoriali nel loro complesso.
In poche parole potremmo affermare che il nostro settore si stava evolvendo da un modello, perdonateci l’estremizzazione, “dilettantistico” ad uno “professionistico”.
Ed è esattamente in questa fase che ci siamo imbattuti in questo maledetto Covid-19. Ma sarebbe un errore molto grave dimenticare il percorso fatto fino ad oggi e quanto ancora ci rimane da fare.
Per questa ragione, a nostro parere, non possiamo non vedere questa difficile emergenza come un ulteriore banco di prova per migliorare le capacità imprenditoriali e manageriali del nostro settore.
Bene ha fatto Emilio Pedron – uno dei più autorevoli manager del vino italiani, intervenuto al nostro webinar che già dal titolo voleva esprimere il nostro attuale sentiment: “Cambiamento? Ora o mai più: come avviarci verso un nuovo Rinascimento per il vino italiano” – a sottolineare come questa possa rappresentare per il nostro settore un’occasione fondamentale per fare quel salto di qualità che da anni attendiamo.
Un salto di qualità che Pedron ha sintetizzato in due elementi chiave: una migliore capacità delle grandi aziende di stare sul mercato, magari ingrandendosi ulteriormente per essere ancor più competitive, e un maggiore investimento delle tante pmi del vino italiane nella propria denominazione, una scelta vitale per bypassare il limite dimensionale. Per questo Pedron ha esortato le piccole imprese a superare i cronici individualismi e di mettersi in rete, a partire dall’unione all’interno delle proprie denominazioni.
Un’esortazione, quella di Pedron, che ci vede assolutamente allineati e che oggi, alla luce della crisi attuale, vede le aziende del vino italiane a nostro parere “positivamente” costrette a trovare alleanze anche con il trade, ristorazione in primis, che avrà bisogno di una fortissima cooperazione con la filiera per uscire il prima possibile da questa difficile emergenza.
In questa direzione ci ha fatto piacere che dal nostro recente sondaggio tra imprese e manager del vino, su quali dovranno essere le azioni più importanti da attivare per uscire da questa fase, sia stata messa al primo posto la formazione.
Nonostante l’emergenza attuale, quindi, molti dei nostri imprenditori e manager sono consapevoli che solo aumentando le proprie competenze, le proprie visioni, la propria capacità di adattamento, sarà possibile essere competitivi anche in futuro.

Non si può non guardare lontano
A prescindere dall’essere ottimisti o pessimisti è fondamentale riuscire a proiettarci oltre questa emergenza che rischia di farci essere tutti miopi.