Pur con tutti i suoi difetti, il sistema delle DOC è ancora alla base del vino italiano. Con il Bel Paese in un limbo a causa dell’emergenza Covid-19, sembra un buon momento per riflettere sul suo ruolo.
Il sistema delle DOC è stato avviato nel 1963, ad oggi in Italia ci sono più di 500 denominazioni. Come riporta The Drink Business negli ultimi anni nel settore è montata una crescente richiesta per giungere ad un decremento oculato di quel numero, “si tratta di un numero incredibile di prodotti, e molti sono sconosciuti in Italia, figuriamoci all’estero”, dice il presidente di Masi Agricola, Sandro Boscaini.
Boscaini ritiene che sia necessaria una seria revisione e non è solo: “per i primi 10 anni le denominazioni sono state date a quei prodotti che erano ben noti. Soave, Chianti, Valpolicella e Barbera d’Asti sono stati tra i primi, e questi sono i vini che hanno dato autorevolezza al vino italiano nel mondo. Credo che ci sia ancora una ragione per questi vini, ma dobbiamo davvero ripensare il sistema che risale a un’epoca totalmente diversa da oggi“.
Negli anni ’60, la necessità di aumentare i volumi per rifornire il mercato interno si rifletteva nelle regole della DOC su rese, varietà di uva, portainnesti e densità di impianto. Il consumo medio annuo italiano era quasi 107 litri di vino nel 1960, le esportazioni erano inferiori al 10% della produzione totale. Oggi, oltre la metà viene esportata ed il consumo annuo si è ridotto a 44 litri.
È evidente il cambiamento radicale e nonostante le regole si siano evolute, molti ritengono che si debba fare di più per aumentare la qualità.
Per quanto riguarda il Chianti Classico DOCG, ad esempio, Lamberto Frescobaldi renderebbe più severe le regole. “Il Sangiovese è prolifico, ma molto esigente sul terreno. Non darei il permesso di piantarlo nelle valli come in passato, o su terreni con un’alta percentuale di argilla. E la DOCG non dà abbastanza garanzie al consumatore. In Toscana, i vini IGT che tecnicamente hanno pochissimi controlli sono spesso i migliori in termini di qualità“.
A Montalcino, però, il direttore generale di Banfi, Enrico Viglierchio, respinge l’idea che le DOC(G) della regione siano state minate dall’IGT Toscana, che definisce “una sorta di arena sperimentale”, e dice che “ha aiutato l’evoluzione di alcune DOC(G)”.
Ad ogni modo il numero di DOC e IGT italiane si è moltiplicato dal 1963 ed ora va dalla DOC Abruzzo alla DOC Lazio Zagarolo, che conta appena 20 ettari.
Lanciata al Vinitaly nel 2017, la nuova e vastissima “Delle Venezie DOC” vuole replicare per il Pinot Grigio il successo che la revisione del disciplinare ha garantito al Prosecco.
Il Prosecco IGT, grazie alle generose rese ha raggiunto prezzi fino a 1,50 euro (1,30 sterline) a bottiglia nelle catene di supermercati discount. Dal suo passaggio alla DOC nel 2009, i volumi del Prosecco sono decuplicati fino a 600 milioni di bottiglie, e l’anno scorso il valore delle esportazioni ha superato la barriera del miliardo di euro.
Se includiamo anche il Prosecco Superiore DOCG, nessuno può negare che sia stato un successo incredibile.
Può essere replicato dal Pinot Grigio Delle Venezie? “Non è un facile, ma a lungo termine probabilmente sì”, afferma Sandro Bottega, amministratore delegato di Bottega, le cui bottiglie “Gold” di Prosecco hanno avuto un grande successo nel settore del travel retail.
Per Matteo Lunelli, Amministratore Delegato del Gruppo Lunelli, è tutta una questione di branding.
“Credo che la soluzione migliore sia quella di avere una denominazione forte e un brand forte” e indica lo Champagne come modello di riferimento.
I suoi due spumanti principali affrontano sfide differenti: lo scoglio da superare per lo Spumante Ferrari è che proviene dal relativamente sconosciuto Trentodoc, mentre per Bisol Prosecco Superiore DOCG il problema è opposto. Bisol lotta per il riconoscimento in un mercato inglese inondato di Prosecco senza marchio, ma sta guadagnando terreno negli Stati Uniti. Lunelli lavora affinché in futuro gli inglesi inizino a ricercare e comprendere il plusvalore del Prosecco Superiore.
L’amministratore delegato di Villa Sandi, Giancarlo Moretti Polegato, ritiene che gli italiani siano in grado di comprendere la distinzione tra Prosecco e Prosecco Superiore, i cui consorzi, assieme al Prosecco Asolo, stanno lavorando duramente per educare i mercati esteri.
“Se quest’anno ci fosse stato il Vinitaly” afferma “avremmo organizzato insieme uno stand pieno di viticoltori per spiegare la differenza tra i tre vini”.
Per ora il Prosecco sopravvive nel settore off-trade, che sta crescendo a due cifre in Italia, mentre le vendite dei bar si riprenderanno dopo il blocco grazie al fatto che il Prosecco rimane un “must” durante gli aperitivi.