La cantina Enrico Serafino ha deciso di non essere presente fisicamente al Vinitaly, ma di mantenere lo stand vuoto nella solita postazione, una scelta forte e simbolica. Qual è il messaggio che volete comunicare?
Abbiamo un grande rispetto nei confronti di Vinitaly, una manifestazione molto importante che ha dato tanto al settore vino. Quindi mantenere lo spazio e montare lo stand nella classica postazione significa riconoscere il valore e avere riconoscenza per questa fiera.
Tuttavia la situazione dei contagi richiede una prudenza particolare e giustamente, per le regole in vigore durante la fiera, nel nostro stand che è piuttosto piccolo, dovremmo essere un numero esiguo di persone. Questo non ci permette di accogliere tutti e non ci sentiamo in grado di garantire la sicurezza dei nostri clienti e dei nostri collaboratori.
Di conseguenza la nostra scelta è stata quella di mantenere lo stand ma di posticipare la presenza fisica all’edizione 2023, quando saremo in grado di garantire quella socialità che il vino richiede.
Faccio l’avvocato del diavolo, non ritiene che questa scelta possa avere ricadute sulla vostra azienda dal punto di vista economico e di relazioni?
Nel prendere questa decisione, abbiamo parlato con i nostri importatori e clienti ed hanno capito tutti questa scelta. Sicuramente perderemo qualche contatto ma non credo ci sarà una ricaduta negativa, tutti ne hanno compreso le ragioni. In queste condizioni, ad esempio, non potremmo fare le degustazioni o gli abbinamenti col cibo che facciamo solitamente, anche perché abbiamo uno stand piccolo. Sono convinto che la nostra decisione verrà percepita come una scelta rispettosa verso la salute della persone.
Questa scelta rivela la vostra attenzione verso uno dei pilastri della sostenibilità: la responsabilità sociale, un atteggiamento di cura non solo verso l’ambiente ma anche a tutela dei lavoratori. Secondo Lei nel settore vitivinicolo questo aspetto è sufficientemente preso in considerazione?
Secondo me la responsabilità sociale è presa molto in considerazione ma poco comunicata, è molto più semplice veicolare quello che facciamo nel vigneto piuttosto che le misure legate alla sostenibilità sociale.
Le ultime ricerche di Nomisma dicono che i consumatori di vino sono 5/6 volte più attenti alla responsabilità sociale rispetto alle altre categorie dell’agroalimentare. Sicuramente dovremo occuparci sempre più dei lavoratori nei campi, dei fornitori che devono garantire scelte sostenibili. La responsabilità sociale è sicuramente un elemento virtuoso, le cui ricadute toccano tutti i soggetti della filiera.
Credo molto nella certificazione VIVA, spingono molto sulla coerenza dei comportamenti.
In base alla Sua esperienza, la certificazione VIVA permette all’azienda di avere un quadro strutturale su cui modellare le proprie scelte aziendali o viene utilizzata in base alle necessità tangibili dell’impresa?
Lei mi fa una domanda molto intelligente. Il fatto di scegliere la certificazione VIVA presuppone già l’intenzione di valutare le attività aziendali in questo senso, io cercavo una certificazione che valutasse i rapporti di responsabilità e tutela verso il paesaggio, la mobilità, i lavoratori, la comunità circostante.
Alcune scelte aziendali sono stati prese perché volevamo migliorare i parametri precedenti, dato che VIVA per mantenere la certificazione, richiede di dimostrare i miglioramenti raggiunti. Noi siamo alla seconda certificazione, quindi abbiamo superato il primo step grazie a piani concreti di miglioramento. VIVA è senz’altro diventato uno degli elementi del nostro processo decisionale.