Abbiamo atteso un po’ prima di scrivere questo articolo perché la scomparsa del professor Denis Dubourdieu, il 26 luglio scorso, ci ha in qualche misura colto di sorpresa. Sapevamo da tempo della sua malattia, che con coraggio ha affrontato cercando in tutti i modi che essa non lo limitasse nel suo lavoro, ma eravamo “ingenuamente” convinti che uomini di questo calibro fossero in qualche misura immortali.
Immortali come vorremmo che fossero tutte quelle persone che contribuiscono in maniera straordinaria alla crescita della conoscenza, all’evoluzione di un settore. E Denis Dubourdieu è stato sicuramente un padre fondamentale della vitienologia moderna, non solo uno straordinario erede dei grandi enologi francesi Émile Peynaud e Yves Glorie, ma anche un uomo di grande coraggio e capacità comunicative. Uno studioso capace di coniugare come pochi altri sia l’attività accademica che quella operativa, di consulente sul campo.
Un mix che gli consentito di essere preziosissimo consulente di molte realtà produttive, da mitici Chateaux francesi come Chateau d’Yquem, Cheval blanc e Pavillon blanc, ad altre aziende internazionali, tra cui alcune italiane come Zonin, Casato Prime Donne (bellissimo il ricordo fatto da Donatella Cinelli Colombini sul suo sito/blog -) e Bertani Domains.
E’ proprio grazie a quest’ultima collaborazione e, in particolare, ad Andrea Lonardi, direttore operativo di Bertani Domains, che abbiamo avuto modo di approfondire ulteriormente la conoscenza di questo grande enologo e, soprattutto di conoscerne meglio il suo pensiero.
E il pensiero del professor Dubourdieu ha nostro parere è tra i più utili ed illuminati per aiutarci oggi in quella che, a nostro parere, è una delle fasi più complesse per il mercato del vino e, in particolare, di come è possibile conseguire quell’indispensabile riconoscibilità dei vini.
Potremmo affermare in estrema sintesi che il pensiero e l’attività principale di Dubourdieu si è concentrata in gran parte, o ha avuto come denominatore comune, la realizzazione di una vitienologica ad alto contenuto identitario e di riconoscibilità.
In qualche misura il suo mantra professionale è stata l’esaltazione della tipicità dei diversi terroir in cui ha operato.

Per questa ragione ci è sembrato ideale ricordare questo grande uomo del vino mondiale pubblicando un’ampia sintesi di un suo articolo già dal titolo illuminante: “Il valore del vino tra natura e cultura: riflessioni sul gusto mondiale e sulla tipicità dei vini”.

Questo lavoro rappresenta – scrive Dubourdieu all’inizio del suo articolo – una sintesi di alcune mie riflessioni sul valore e sulla tipicità dei vini che sono al centro della mia esperienza di ricercatore, consulente e produttore.
La situazione viticolo mondiale si caratterizza per una offerta eccedentaria di vino. Da qualche anno la domanda mondiale di vino aumenta, grazie allo sviluppo di alcuni mercati (USA, Asia, Russia, UK, Nord Europa, Brasil…) ma questo aumento di domanda non potrà assorbire questa eccedenza di offerta. Questo fenomeno è legato essenzialmente a due ragioni:
• La recente forte crescita della superficie viticola soprattutto nell’emisfero sud
• La diminuzione della domanda di vino nei paesi europei tradizionalmente grandi consumatori (Francia, Spagna, Italia).
Questo disequilibrio di mercato ha aumentato la concorrenza tra produttori. Nello stesso tempo stiamo assistendo a una un’informazione degli stili del vino = (STANDARDIZZAZIONE DEL GUSTO) legata:
• All’utilizzazione sempre maggiore e dappertutto, di un numero ristretto di varietà divenute “internazionali”
• All’industrializzazione dei processi di elaborazione:
o Dolcificazione
o aromatizzazione per l’utilizzazione generalizzata di prodotti alternativi alla barrique
o estrazioni totali dalla buccia per macerazioni lunghe su uve sur-mature (questo legato anche il fatto che il cambio climatico ha portato ad avere uve sempre più mature).

A questa standardizzazione ampelografica e tecnologica, che definisce un GUSTO MONDIALE di aggiunge una banalizzazione delle menzioni valorizzanti: AOC, Château, Grand Cru…
Gli effetti di questa concorrenza sono quelli più devastanti:
• Abbassamento dei prezzi
• Erosione dei margini
• Riduzione della superficie viticola

In queste condizioni è chiaro che la vigna non può solo produrre uva ma deve anche produrre VALORE!!! La creazione di valore è quello a cui deve guardare la viticoltura mondiale ed in particolare quella europea.
Grazie alla diffusione delle conoscenze, oggi sappiamo produrre della grandi quantità di vino con dei bassi costi di produzione in diversi luoghi del mondo. Le condizioni per poter fare questo sono oggi ben conosciute:
• Un clima caldo
• Relativamente secco
• La possibilità di irrigare se necessario
• Una manodopera a basso costo.

Oggi non è sicuro, in ragione del cambiamento climatico, che tutte le regioni viticole a clima secco potranno disporre nei prossimi anni di acqua in quantità sufficiente, ma per ora grazie all’irrigazione potranno permettersi di produrre molto vino dal gusto costante e a basso costo. Le zone che non possiedono questi 4 vantaggi concorrenziali, avranno sempre dei costi di produzione più elevati e saranno quindi costretti a cercare la valorizzazione massima dei loro prodotti (Argentina e Cina sono i paesi che hanno tutte e 4 queste caratteristiche, l’Australia ha invece solo i primi 3 di questi parametri….chi non ha questi 4 parametri è costretto ha creare valore!).

Ma l’elaborazione di un vino a forte valore aggiunto non è qualche cosa di facile, oggi più che mai questo risulta dalla combinazione complessa di fattori naturali e umani, di savoir-faire tecnico, finanziario, commerciale e molto tempo. (… per fare del valore conosciamo i parametri ma non l’equazione!!!)
Dentro un contesto di offerta limitata, il valore del vino, come quello dell’arte, risulta dall’incontro di 4 comunità ugualmente esigenti sulla qualità:
• Produttori
• Clienti/consumatori
• Mercati
• La critica (media)

Come in una reazione occorre stare attenti a chi sono i reagenti e gli enzimi cioè coloro che catalizzano la reazione. I reagenti sono i produttori, i consumatori e il mercato ed invece l’enzima è la critica cioè la stampa. La critica consente di orientare i clienti; questa quindi gioca un ruolo essenziale ma non esclusivo. Il troppo contare solo su questa è troppo rischioso. Il vino è da sempre “il figlio del cliente” (è sempre molto importante capire quello che passa nella testa del consumatore, per capire se questo sa riconoscere il vino buono da quello meno buono). A clienti esigenti corrispondono produttori e mercati esigenti. In altri termini il venditore esigente dovrà trovare dei clienti esigenti o altrimenti non potrà che vendere ad un prezzo.

Dal mio punto di vista (sono 5 i parametri più o meno interattivi, che costruiscono una rappresentazione valorizzante del vino dentro la coscienza del consumatore (cioè quali sono i parametri secondo i quali un consumatore valuta il vino):
• La sua immagine
• Il suo prezzo
• La sua tipicità (il suo gusto)
• Il suo potenziale all’invecchiamento
• Il rispetto dell’ambiente nel quale questo vino è stato prodotto.
Ciascuno di questi elementi è necessario ma nessuno è da solo sufficiente.
L’immagine è essenziale, è la parte dell’immaginario, dell’affettivo, lunga da costruire ma rapidamente distruggibile. L’immagine deve imperativamente valorizzare colui che beve, lo compra, lo offre. L’immagine è sempre contemporanea ma è necessariamente evolutiva. La creazione di valore non si fa dentro gli ecomusei.
Il prezzo dovrà essere il più stabile possibile, adeguato alla quantità da vendere e all’obiettivo di mercato. Le sue variazioni tempestive, sia in aumento che in diminuzione, possono fra perdere mercato e rovinare l’immagine. Un prezzo divenuto troppo basso agisce come un boomerang anche quando continua ad abbassarsi e la domanda diminuisce continuamente.
Fino a quando succede questo?
I vini meno cari non hanno la tendenza ad essere ogni giorno meno cari?

La tipicità è il fattore chiave del valore di un vino. Si può definire come la sua attitudine ad illustrare un tipo di vino. La qualità di un vino tipico lo è quando è caratteristico ed originale. Questa non dovrà essere solo rivendicata dal produttore stesso o da un gruppo di produttori. Il gusto è l’armatura (la struttura) della stessa tipicità ma a condizione che questa possieda degli attributi essenziali:
• Essere prontamente riconoscibile
• Apprezzata dai consumatori attuali
• Sufficientemente complessa per non stancare
• Localizzabile
Queste sono quindi caratteristiche di un’origine geografica e di un savoir-faire associato.

Un vino inimitabile è quello che è impossibile da riprodurre in altri luoghi; questo conferisce a quel vino quella particolare sensazione (status) di invidia che caratterizza i grandi vini
La tipicità di un gusto, come la stessa immagine di un vino, è contemporanea. Gli Champagne come i Grandi Bordeaux di oggi, sono diversi da quelli delle precedenti epoche; questo però non significa che sono meno tipici. L’uomo fa il vino del suo tempo, per il gusto dei suoi contemporanei, con le conoscenze e i mezzi della sua epoca.
La manifestazione di un terroir è quindi lo stesso gusto del vino che diventa per questo difficile se non impossibile da riprodurre altrove. Tanto che questa tipicità di un vino non è dimostrata. È l’uomo che evidentemente rivela il territorio viticolo. Ci vogliono decine di anni di interesse continuativo, di sforzi e di successi, perché ne sia stabilita la sua esistenza, di questo in un tal luogo. Questo significa la permanenza di un gusto tipico e distintivo, associato sulla lunga durata ad un terroir e a nessun altro. Così la Malbourough Valley in Nuova Zelanda, il Priorat e la Ribera del Duero in Spagna, il Brunello di Montalcino e la Maremma in Toscana sono degli esempio recenti di rivelazione; luoghi una volta devoti all’agricoltura, all’allevamento o alla produzione di vini comuni. Questi territori sono divenuti in meno di vent’anni, dei terrori viticoli ambiti grazie al successo commerciale e alla tipicità dei vini che qui sono prodotti.
L’attitudine alla conservazione, alla capacità di invecchiare sviluppando la sua originalità è un fattore determinante del valore del vino. I vini cari sono vini che normalmente sono capaci di invecchiare bene. Vendere un vino di un certo valore è vendere il suo futuro, sia gustativo che commerciale.
Certe condizioni viticole, climatiche ed enologiche sono necessarie alla rivelazione di un gusto locale. Se la tipicità non è dimostrata non esiste quindi Terroir. I vini tipici si ottengono quando le varietà si esprimono così bene che si potrà attendere la maturazione completa, al termine di un lungo ciclo vegetativo. Le uve insufficientemente mature, o al contrario sur-mature, non permetteranno di ottenere dei vini tipici. Se le prime infatti danno sempre dei vini cattivi, le seconde, anche se senza difetti, danno origine a vini che si assomigliano tutti indipendentemente da quelle che sono le loro origini ed inoltre non hanno la capacità di invecchiare.
Così la tipicità è il valore di un vino che si ottiene solamente in situazioni limite.
Il terroir non è un privilegio né un dono della natura, come lo definiamo troppo spesso. Il terroir è un handicap naturale dato all’uomo da superare per produrre vino. Più l’handicap da superare è duro e maggiore è la tipicità del vino.
Vinificare nel senso più nobile, consiste nel guidare, ed intervenire il meno possibile sul processo naturale di trasformazione dell’uva in vino al fine di rivelare il gusto inimitabile del luogo che fa nascere il vino. Il gusto del vino è veicolo della sua immagine e della capacità di sedurre una comunità di amatori e mercati in continuo rinnovamento. Per questo ci vuole una tecnologia minimalista, trasparente, una enologia sapiente e precisa al servizio della sensibilità del vinificatore. È allo stesso modo importante sviluppare una viticoltura esemplare rispettosa dell’ambiente.
Infine bisogna promuovere nel mondo con una rappresentazione forte e valorizzante del vino dentro la coscienza dei consumatori, senza la quale non ci sarà alcuna viticoltra sostenibile.