Questa è una storia di coraggio ed intraprendenza. Quella che ha da sempre contraddistinto i membri della famiglia Tommasi, generazione dopo generazione fin dal lontano 1902, quando Giacomo diede inizio alla saga di un’attività imprenditoriale che ha fatto del vino (e non solo) un’occasione di esplorazione e ricerca, oltre il confine del territorio di origine, la Valpolicella.
Oggi il cognome Tommasi rimane al vertice di una piramide di tenute sparse in giro per l’Italia, e dà il nome ad un progetto “Tommasi Family Estates”, che ha l’ambizione di portare il vino italiano nel mondo.
Abbiamo intervistato Pierangelo Tommasi, direttore esecutivo dell’azienda veronese.
Quando ha iniziato la famiglia Tommasi a produrre vino?
Ufficialmente nel 1902 con il mio bisnonno Giacomo Tommasi, che al tempo svolgeva attività di tipico mezzadro per conto di una famiglia nobile, coltivando vigne, oltre alle colture di frutta e olivo. La famiglia era numerosa e così penso che mettersi in proprio fosse la strada giusta per dare ai figli delle attività da svolgere. Così negoziò l’acquisto di una buona parte dei terreni in mezzadria, circa 5 ettari, quelli che oggi si trovano esattamente dietro la cantina.
Come ha iniziato a produrre il vino?
Lui produceva già vino per conto dei proprietari del terreno. Così quando i terreni divennero suoi, lui, che aveva una grande lungimiranza, iniziò a produrre vino a suo nome. Nel contempo acquistò anche due osterie e sistemò tutti i figli nelle attività di famiglia.
I due figli che hanno proseguito l’attività del vino (mio nonno Angelo, e il fratello Alfonso) hanno contribuito in maniera importante tra il 1902 e il secondo dopoguerra a dare impulso all’attività. Si arriva poi alla terza generazione, quella di mio papà e dei miei zii (quattro fratelli in totale) quelli che effettivamente dal secondo dopoguerra fino a metà degli anni Novanta hanno cavalcato a cento all’ora, ampliato l’azienda, acquisito altri vigneti, includendo anche i vini bianchi veronesi oltre ai vini rossi della Valpolicella.
Qual è stato l’anno della svolta?
Sicuramente il 1959, anno in cui Tommasi ha prodotto la prima annata di Amarone. All’epoca l’Amarone non era considerato il vino principe della Valpolicella, che invece era il Recioto. È stato un atto di fiducia e coraggio produrlo, ma finalmente poi nei primi anni Novanta ha ricevuto l’attenzione che meritava.
Un’altra data ha segnato un importante passaggio nella vostra storia familiare ed aziendale…
Sì, il 1997, anno in cui entra in azienda la quarta generazione, quella formata da me e dai miei cugini. Noi entriamo in campo garantendo l’impegno e la dedizione e la forza umana, guidati anche da uno spirito di iniziativa, orgoglio e coraggio.
Decidiamo di intraprendere questo percorso anche fuori dal Veneto, senza dimenticare Verona e provincia.
E dove siete andati?
Noi abbiamo sempre avuto il sogno di andare in Toscana, ritenendola una fra le regioni più significative al di fuori del Veneto. Volevamo arrivare a Montalcino ma, inizialmente, non avevamo la forza finanziaria e forse nemmeno il coraggio di tentare quella strada, non avendo comunque trovato il podere ideale per coronare il sogno; cosa successa invece alcuni anni dopo con lo splendido Podere Casisano. Tenendo ben saldo il sogno, abbiamo però colto un’altra opportunità, ovvero quella di fare qualcosa in Maremma, arrivando a Pitigliano, dove abbiamo acquistato dei terreni con vigneti e nel giro di pochi anni abbiamo lanciato il nostro “Poggio al tufo”.
Con quell’acquisto è partito ufficiosamente il progetto che anni dopo è stato definito “Tommasi Family Estates”, il nostro marchio.
Nel 1997 erano in pochi ad aver iniziato a diversificare. Perché avete scelto proprio la Toscana?
La ritenevamo la regione vinicola più interessante. Da quel progetto partito in Maremma, che oggi comprende 170 ettari di vigne, siamo riusciti ad arrivare a Montalcino qualche anno più tardi con maggiore esperienza e coraggio. E per il resto, si sa, l’appetito vien mangiando. Infatti, dal 2012 al 2016 abbiamo messo in fila praticamente quattro aziende con grande progettualità. Se per la Toscana, siamo stati guidati maggiormente dal cuore, dal nostro sogno, il resto è stato frutto di una chiara programmazione. La prima azienda è stata acquisita in Puglia: Masseria Surani, a Manduria, nel cuore del primitivo, era una tenuta già impiantata da almeno 10 anni.
Poi siamo tornati al Nord nell’Oltre Po pavese: siamo stati coinvolti ad acquisire i vigneti e la cantina della tenuta Caseo: 120 ettari di proprietà, di cui 90 ettari vitati.
Nel marzo 2015 siamo riusciti finalmente ad approdare a Montalcino. Per noi Casisano è stato il coronamento di un sogno, fare Brunello per noi è stato importantissimo e ci siamo reinventati, dimostrazione del fatto che non basta avere un buon nome alle spalle.
Infine siamo tornati al sud, in Basilicata, entrando in partnership in un’azienda storica, capostipite dei vini di quella regione: Paternoster. L’azienda originaria è stata la prima vera azienda vitivinicola familiare della zona a guardare al futuro, volendo fare vini di qualità in Basilicata. Abbiamo scelto di entrare in partnership per portare in alto il nome dell’Aglianico del Vulture.
Se un wine lover straniero oggi Le chiedesse di dirgli chi è Tommasi in poche parole…
Tommasi è, innanzitutto, una famiglia a capo di un’azienda. Non vuol dire azienda familiare, è un concetto diverso. La nostra è una mentalità imprenditoriale, guidata dalle solide basi di una famiglia. Questi valori vogliono dare un segno di stabilità, sicurezza, continuità e lungimiranza.
Da che anno esportate all’estero?
Dal 1971, l’anno in cui abbiamo iniziato ad esportare negli Stati Uniti, per idea di mio zio Dario dalla mentalità aperta e la grande intraprendenza, che ha voluto inseguire il sogno americano. Dopo gli USA è arrivata la Germania, poi la Svizzera e il Canada, i mercati più storici e più forti per noi, ai quali si sono poi aggiunti tutti i paesi scandinavi, da metà anni Novanta.
Che percentuale fate di export?
Oggi facciamo circa il 90% di export. Il 90% di export suona importante, ma bisogna calcolare che il restante 10% si concentra nel mercato Italiano, mentre il 90% è distribuito circa in 70 mercati. Non abbiamo mai trascurato l’Italia, anche se siamo andati all’estero, riteniamo che per essere ambasciatori nel mondo, bisogna essere prima forti in casa propria.
Come fate a promuovere tutte le vostre aziende, diversificando ma sempre mantenendo il marchio Tommasi Family Estates?
Abbiamo coniato un progetto di comunicazione chiamato “Trilogia di Emozioni”: Amarone, Brunello e Aglianico. Lo riteniamo un progetto ambizioso, poiché sembra facile a dirsi, ma riuscire a far capire chi siamo nel mondo è molto più difficile di quanto sembri. La trilogia di emozioni è diventato il nostro modus operandi, ci serve a far capire a tutti chi è Tommasi Family Estates. È naturale che all’estero ci conoscano maggiormente per l’Amarone, ma dobbiamo fare in modo che anche le altre aziende abbiano un futuro prospero, quindi investiamo nei singoli marchi delle aziende, ricordando però che il timbro e la firma la nostra, come segno di garanzia.