A novembre dell’anno scorso avete dovuto fare i conti con un incendio che ha coinvolto un vostro capannone di circa 3.500 metri quadri. È necessario avere coraggio per affrontare una calamità simile, personalmente come è riuscito a superarla?
La cosa che mi ha dato forza è stata quella di capire che le calamità impreviste possono accadere, lo abbiamo visto con i terremoti e le recenti guerre. L’elemento che le calamità non possono spegnere è il sogno, il proprio progetto di vita e di lavoro.
L’incendio è stato causato da una piccolissima distrazione di un operaio che lavora con me da 30 anni, il giorno dopo ho convocato il personale e li ho tranquillizzati, loro sono stati partecipi di questo dolore. La mia volontà è stata quella di non colpevolizzare nessuno, anche perché l’incendio si è propagato da un punto che non era visibile. Ho voluto creare serenità nel gruppo, se tutto andrà bene quest’anno, a fine luglio, la cantina sarà nuovamente operativa.
Ho letto una sua dichiarazione: “Non puoi fare un grande vino se non hai qualcosa dentro da esprimere, come nelle opere d’arte. E per capire cosa hai e cosa puoi esprimere ci vuole tempo, tanto tempo”. Mi può spiegare questo legame tra vino, arte e tempo?
Se noi dovessimo mettere insieme dieci cuochi, dieci manager o dieci imprenditori ognuno avrebbe una sua visione ed un suo carattere. Se dieci cuochi cucinano utilizzando gli stessi ingredienti, ne scaturiranno dieci piatti differenti. Per il vino vale lo stesso ragionamento. Il legame con l’arte è fortissimo, ho voluto fare della mia azienda una opera d’arte e questo intreccio tra vino e arte non finirà mai.
L’arte passa attraverso quello che tu trasmetti a quello che fai: noi siamo partiti nel 1984 con Joseph Beuys, che presentò il progetto “Difesa della Natura” nella bottaia della nostra cantina.
Abbiamo continuato a vivere l’arte, ospitando ogni anno artisti diversi. Per quanto riguarda il concetto di tempo, spesso mi capita di parlare con vignaioli bravi ma a livello personale non mi interessa confrontarmi con un vignaiolo che ha meno di 20 anni di esperienza, ritengo che non abbia nulla da darmi.
Si vendemmia una all’anno, la vendemmia ha legami con il territorio e le persone, non si può diventare vignaiolo solo perché ci si affida alla professionalità di un bravo enologo. La prova sta nel fatto che molti vini sono cloni, non si può prescindere da una esperienza minima di 20 anni alle spalle.
La sua azienda esporta in oltre 30 Paesi, si aspetta che questo Vinitaly dia una ulteriore spinta concreta all’export o è più semplicemente una occasione per riallacciare relazioni indebolite dalla pandemia?
Per me il Vinitaly è una vetrina, in cui è importante essere presenti per sviluppare e mantenere le relazioni. È una opportunità notevole per incontrare 200/300 persone che altrimenti non avresti l’occasione di vedere. È anche un momento di convivialità, una festa in cui si ha la possibilità di approcciare nuove persone e consolidare legami.
Vorrei anche aggiungere una cosa che non fa riferimento alla domanda ma a cui tengo: l’Abruzzo è stata una regione vinicola che per decenni ha prodotto vini che venivano imbottigliati dalle cantine del Nord Italia. Ora vedo che la situazione sta migliorando, le cose stanno cambiando e ne sono felice.