Con sempre maggiore interesse entro in quei locali dove il vino non è la specificità. Guardo con attenzione la wine list, leggo la bacheca con i vini al calice, osservo il personale, quasi sempre totalmente digiuno dei fondamenti eno-vitivinicoli. A me, a voi che mi leggete, sembra il minimo conoscere la differenza tra un Pas Dosè e un Extra Brut, tra un Franciacorta e un Valdobbiadene, tra un bianco fermo e un rifermentato. E invece non è così. È inevitabile constatare che molti bevono un calice senza farsi domande, moltissimi sono gli ignari di cosa sia effettivamente il vino. Che, badate bene, è molto diverso da un boccale di birra, se non altro perché il vino è il frutto di una materia prima che abbiamo una sola volta l’anno: quella singola vendemmia, che si spera generosa e positiva. Mentre la birra, anche la più artigianale, è sempre riproducibile: malto, luppolo, lieviti e il gioco è fatto. Facciamo dunque cultura, adoperiamoci per far comprendere che quel calice di vino è un modo di vivere: per il contadino che in vigna lavora la terra, e per chi lo beve. Stefano ha scelto di essere un Vignaiolo Indipendente. Ha scelto di aderire al luogo nel suo sentire il vino, Montecucco Sangiovese cento per cento Toscana. Si parla troppo spesso di territorio, di clima, di natura. Ma altrettanto importante è la sensibilità dell’uomo nell’accompagnare la vite nel suo percorso di sviluppo, il frutto di vigne trentennali che nella migliore vendemmia sarà certamente un grande vino. Conta l’uomo, conta la sua direzione, quell’imprinting per cui sceglie forme di allevamento, i tempi della potatura, l’essere o meno indipendente rispetto agli indirizzi enologici più in voga. Stefano e il suo team, in quello spaccato di Toscana influenzata dal Monte Amiata, tra sole e vento, tra calcaree e galestro, seguendo un percorso biologico – certificato dal 2019 – che renda al vino tutta la salubrità della terra. Montecucco Sangiovese è acciaio e botti grandi, una fermentazione avviata da una pied de cuve e un frutto definito, maturo, concretamente riferibile all’ottima annata 2016. Solo diecimila bottiglie su una produzione altrettanto esigua di quarantamila. Ci mangio: Trippa alla romana, menta e pecorino Bottiglie prodotte: 10.000 |