E siamo a marzo. Quarto numero e un po’ di riflessioni. Ho sempre desiderato impostare Wine Pager come la newsletter della scoperta, ovvero la ricerca di tutti quei territori meno blasonati, di quei vitigni che in un modo o nell’altro rimangono più spesso in ombra, di quei produttori che “devi andarti a cercare”, perché non sempre sono sulle guide e neanche ci vogliono stare, ma fanno cose imperdibili che meritano di essere scoperte, conosciute e a loro volta fatte conoscere. Lo sto facendo con una modalità semplice in cui il linguaggio sia davvero generatore di godimento. E questo penso succeda quando una descrizione riesce a trasportarti lì, proprio lì, sul territorio, senza per questo dover essere un concentrato di aggettivi, di termini, di paroloni. Condurvi semplicemente verso sensazioni, immaginando odori, sapori, consistenze e persistenze. Credo che i parametri di riferimento siano ad esempio la sensibilità nel descrivere un dettaglio: la mia sensibilità, in questo caso. La vostra, nel limite di quello stimolo chiamato soglia di percezione. Buon inizio di primavera.
Ammetto di essermi trattenuta fino ad oggi nel parlarvi di Amarone. Un vino icona, emblema di un territorio che giustamente si inquadra nelle sue due aree distinte: nella Valpolicella Classica e nella cosiddetta Valpolicella allargata. Quando mostrai a un amico veronese la bottiglia di Lilium Est 2010, la conversazione volse repentinamente verso la profonda, a suo dire, differenza di questo areale rispetto al territorio classico dove, da disciplinare, l’Amarone è prodotto con uve provenienti dalla zona più antica, vocata e tradizionale della denominazione circoscritta dai comuni di Sant’Ambrogio di Valpolicella e San Pietro in Cariano oltre alle tre vallate di Fumane, Marano e Negrar. Dettagli importanti o forse trascurabili se guardo al piacere che trovo in questo sorso così superbamente elegante? Parliamo poi di una realtà come Tenuta Sant’Antonio, per tutti la Famiglia Castagnedi, quattro fratelli e il loro viscerale amore per la terra, un sogno realizzato sulla strada maestra della ricerca di un approccio il più naturale possibile, reso fattibile grazie al contributo della tecnica e da moderni sistemi di lavorazione. Cinque vitigni, Corvina e Corvinone 70%, Rondinella 20%, Croatina 5%, Oseleta 5%, in un blend che per Falstaff, la rivista enogastronomica più rilevante d’Austria, vale 97 punti su 100. Un rosso cupo, luminoso e brillante, un naso intenso di rosa e garofano appassiti, di amarene sotto spirito, di confetture di prugne e more selvatiche, di amaretto, zenzero e grafite nel quale si stempera ogni discorso, in cui le strade parallele del territorio veronese si ricompongono nel segno del piacere di un calice di pura gratificazione. Ci mangio: l’ho abbinato ad una grigliata di carne, patate cotte nella cenere e per concludere un tagliere di formaggi stagionati d’alpeggio. Il consiglio fondamentale è la temperatura di servizio del vino: 16 gradi, al massimo 18 per goderlo al meglio. Bottiglie prodotte: 4.000 |