Tra meno di un mese sarà nuovamente primavera, la stagione che più amo, quella delle giornate che si allungano, della pioggia che disegna arcobaleni, delle passeggiate in campagna e dulcis in fundo del risveglio della vite. Tra i filari, luce e tepore riscalderanno la terra che annuncerà con il pianto della vite il ritorno di un nuovo ciclo vegetativo. Dopo quasi un anno, una lacrima colma di energia farà capolino lungo i tralci ancora inturgiditi dal lungo inverno, pronta a dare il via a una nuova esperienza enologica. Viaggiamo dal Piave alla Valle d’Aosta, fino al cuore dell’Abruzzo di Fausto Albanesi per celebrare, infine, un grande bianco italiano come il Soave. Siete pronti? L’esempio eclatante del vino capace di rubarti l’anima è il Pecorino Bianchi Grilli di Fausto Albanesi, visionario titolare della sua azienda Torre dei Beati. Da luglio in poi, da quanto ho iniziato ad appassionarmi a questo vitigno che mi appariva – lo confesso – uno tra i bianchi meno in luce del panorama enologico, Bianchi Grilli ha conquistato un posto tutto suo. Non solo perché vino d’inequivocabile appartenenza al territorio, con un’impronta che porta con sé contesti e paesaggi di montagna, ma soprattutto perché è il capolavoro di Fausto. Ingegnere prestato alla vita contadina, con una sensibilità fuori dal comune, fu pioniere nel credere alle potenzialità di questo vitigno sensibile, elegante, arguto. La sua sorte, analoga a quella di molti altri autoctoni italiani, che lo vedeva accantonato per la sua scarsa produttività nei tempi in cui il vino era considerato alimento, energia, sussistenza, vedendogli preferire il più generoso Trebbiano, sembra avere preso oggi strade differenti. La debolezza del suo essere gentile e particolarmente succulento (il suo acino succoso e zuccherino tanto piace alle pecore al pascolo) diventa in tempi moderni un punto di vantaggio. Bianchi Grilli veicola al palato valori, spazi, cime innevate, brezze di sale. In ogni sorso gli riconosci la stoffa del Grand Cru, la consistenza di una materia generata e accolta da mani che cercano sensazioni profonde, in cui ci trovi storie, un corredo di parole, l’intimità di un uomo. Un vino che si collega al ricordo ma che rimane la voce del presente, di un futuro di riscoperta in continuo divenire come questo, cangiante, penetrante, affascinante calice di vino. Ci mangio: i Vincisgrassi, piatto tipico marchigiano, luogo natio di Fausto, ingegnere-vignaiolo fluttuante tra le sue Marche e le suggestioni abruzzesi di Loreto Aprutino. Bottiglie prodotte: circa 4.000 |

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Strappacuori – Torre dei Beati, Bianchi Grilli 2018