Abbiamo ripetuto spesso che fare Export è un percorso e allora chiediamoci quale sia davvero il primo passo per partire. Prima di partire, ci poniamo una domanda, ovvero: dove vogliamo andare?

Scegliere il dove, in un viaggio, è una cosa che mischia aspetti oggettivi e soggettivi, pratici e personali.
Quindi come ci si prepara per programmare l’export? 

Il primo fondamentale step è sapere chi siamo, cosa vogliamo, in quanto tempo lo vogliamo e quanto siamo disposti ad investire affinché ciò accada.

Andiamo a vedere quali sono dei punti comuni e quali domande ed analisi non possono mancare in un buon “check up aziendale per iniziare a fare Export”.

Partiamo da un aspetto sottovalutato, ovvero quello di far effettuare il check up ad una persona esterna all’azienda, o almeno entrata da poco. Può essere il consulente, o l’Export Manager appena entrato, ma non un manager di lungo corso né il proprietario, perché la loro visione sarebbe troppo facilmente influenzabile e viziata dal punto di vista troppo legato all’azienda stessa.
I risultati del check up forniranno quindi una prima sommaria indicazione per la scelta della destinazione e della modalità con cui ci prefiggiamo di raggiungerla. 

Personalmente imposto il check up su un file che divido in varie aree riassumibili con: 1. Stato attuale; 2. Motivazioni; 3. Aspettative; 4. Risorse. Nella realtà non divido in modo così strutturale le quattro aree, ma è una buona semplificazione.

Il punto 1 (stato attuale) è quello più scontato, perché include la tipologia dei vini, la zona, la dimensione aziendale, il personale, il livello medio dei prezzi, la pregressa esperienza export, le capacità produttive, le lingue parlate in azienda, la struttura aziendale, le lingue del sito internet, il materiale presente, come brochures, cataloghi, schede tecniche. Una prima analisi di questi punti può sembrare scontata, ma fatta da un occhio esterno può rivelare sorprese.

Passando al punto 2 (motivazioni), le cose iniziano già a complicarsi, perché non sempre le motivazioni esplicitate sono quelle reali. Cerco allora di capire quali siano le vere motivazioni che spingono l’imprenditore ad iniziare a fare export, o ad accrescere la propria presenza all’estero. Per esperienza diretta, mi sono accorto che le ragioni alla radice possono essere le più disparate ed irrazionali, ma non meno importanti.
Ogni motivazione ha la sua dignità, ma conoscerla ci aiuterà ad attuare la migliore strategia. 

Arriviamo allora al punto 3, strettamente collegato al precedente, quello delle aspettative. Cosa si aspetta il produttore dal percorso di Export? Che tempi si è dato? Quali sono i volumi, o il fatturato, raggiunto il quale può ritenersi contento? Cerca operazioni spot, una crescita rapida o lenta ma costante? Ha in mente un posizionamento preciso, o “basta che paghino”?

Anche in questo caso, conoscere le aspettative del nostro cliente, o del datore di lavoro, ci è di grande aiuto per individuare la strategia più adeguata ed anche in questo caso, non sempre quella che ci viene detta è la reale aspettativa, perché non è detto che il produttore la abbia ben chiara in mente.

Siamo così al punto 4, che consiste nel capire di che tipo di risorse disponiamo. Parlo ovviamente di risorse economiche, ma anche di risorse umane, di struttura, di disponibilità. Avere pochi soldi ma molte persone capaci a disposizione può essere meglio che avere molti soldi e pochi inetti.

In base ai risultati dell’analisi, procedo poi con il formulare un breve documento di sintesi, in cui riassumo i punti di forza e di debolezza dell’azienda, le opportunità che vedo sui mercati stranieri ed i rischi che si corrono. Il buon vecchio SWOT, strettamente connesso e relativo unicamente ai mercati esteri.

Condivise queste informazioni con la proprietà o con la direzione, ci confrontiamo per decidere insieme come procedere, su quali paesi e che tempi darci.

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