Penso di aver scritto il primo articolo “contro” le previsioni vendemmiali ancora vent’anni fa, perché già allora era chiara la loro scarsa attendibilità (giusto per usare un eufemismo).
Anche quest’anno, purtroppo, il rito delle previsioni si è consumato e, visto un andamento stagionale complesso (tra siccità e grandinate) e le numerose emergenze fitopatologiche, erano in gran parte all’insegna della negatività sia sul versante quantitativo che qualitativo.
Ancora una volta le previsioni sono state smentite e in questi giorni stiamo ricevendo comunicati stampa da ogni angolo del Paese che ci raccontano di una vendemmia, in parecchi territori, addirittura memorabile.
Ormai stupirsi di questa altalena di informazioni è a dir poco anacronistico e l’unica cosa che mi sento di fare, per non sentirmi preso in giro ogni anno, è un appello affinché le previsioni vendemmiali non vengano più realizzate e, se il settore non ne può fare a meno, almeno ci eviti la loro comunicazione.
Purtroppo questa sensazione di “inaffidabilità” è entrata anche nelle percezioni dei consumatori finali e questo è molto pericoloso perché ne emerge un’immagine non troppo seria del nostro settore vitivinicolo.
Nelle migliori delle ipotesi viene considerato come un settore che si lagna per attitudine culturale ma che poi, sotto sotto, gode. Nel caso peggiore, invece, il comparto appare assolutamente inaffidabile, poco credibile e quindi la dichiarazione di una vendemmia drammatica che si trasforma nella raccolta del secolo risulta essere un occultamento della realtà.
Le previsioni vendemmiali, quindi, rischiano (ammesso che non lo siano già diventate) di essere l’emblema della scarsa trasparenza di un settore che tutt’oggi fa fatica ad essere maturo.
Non voglio apparire troppo drastico; sono cosciente della difficoltà di giungere a previsioni attendibili vista la variabilità climatica che può determinare anche profonde modifiche nel giro di pochi giorni. Ma questo è l’ulteriore motivazione che deve spingere ad uscire dall’inutile e pericolosa danza delle previsioni.
Un capitolo a parte, in questa direzione, lo merita il tema delle previsioni “quantitative”. Se, infatti, si può essere d’accordo sul fatto che la qualità di una determinata vendemmia possa modificarsi in un verso o nell’altro anche nel giro di pochi giorni, questo non vale sul fronte della quantità.
E per questa ragione mi piacerebbe, oggi, ricevere altrettanti comunicati stampa da parte di quelle aziende e consorzi di tutela che un mese fa ci evidenziavano vendemmie con perdite anche superiori al 50%. Cosa è successo nel frattempo? Siamo ancora una volta di fronte alla moltiplicazione dei pani e dei grappoli?
Ho chiamato parecchie aziende, anche abruzzesi e pugliesi, per avere qualche info in più dato il silenzio “istituzionale”. Quasi tutte mi hanno confermato la drammatica scarsità produttiva, ma allo stesso tempo mi hanno chiesto di evitare di nominarli.
Il motivo di questa omertà è inutile spiegarlo.
Ma è proprio questo, dal mio punto di vista, che continua a rallentare lo sviluppo imprenditoriale e manageriale del nostro amato settore vitivinicolo. Il pensare che meno trasparenti si è, e più facilmente ci si può muovere.
Un retaggio del passato che non ha più ragione di esistere in un’epoca dove le informazioni e le analisi sono alla base per definire strategie di sviluppo delle imprese, delle denominazioni in maniera efficace.
Invece, ancora una volta, si preferisce o raccontare mezze verità o rimanere in silenzio.
Io, per quel che può valere, non rimango in silenzio.