Ho ancora nitido il ricordo di quando andai a visitare Napa e Sonoma Valley in California per la prima volta, nel 1992. Mi confrontai allora con parecchi produttori californiani su un tema che per noi era determinante, mentre per loro era assolutamente marginale: quello delle denominazioni di origine.

Ricordo bene come molti di loro non riuscivano a capacitarsi di come noi della vecchia Europa fossimo così vincolati ai territori di origine dei nostri vini mentre il mercato, in particolare quello del cosiddetto “Nuovo Mondo”, andava in direzione opposta, sempre più orientato verso i vitigni.

Per oltre vent’anni, tutte le analisi dei mercati del vino di fatto evidenziavano questa sorta di dicotomia tra chi vedeva nella denominazione il principale driver di scelta di un vino e chi, invece, si basava esclusivamente sulla varietà (Chardonnay, Cabernet Sauvignon, Merlot, tanto per citare le più note e ricercate).

Se penso a quanti convegni ho partecipato in oltre trent’anni per cercare di rispondere alla domanda  “Denominazione o varietà?” mi gira la testa. Ma come spesso (anzi, sempre) accade, è il tempo che porta le risposte e sono frequentemente molto più ovvie di quanto si immagini.

Era infatti abbastanza scontato che prima o dopo, man mano che i mercati diventavano più maturi, con maggiore cultura del vino, le denominazioni avrebbero iniziato a non apparire più solo scelte “burocratiche” dei viticoltori dinosauri del vecchio mondo ma un fattore determinante nella riconoscibilità e definizione dell’identità di un vino. A testimoniare questa evoluzione è il numero di denominazioni oggi presenti negli USA, le AVA (American Viticultural Area), che hanno raggiunto (dato luglio 2022) le 268 unità.

A riconoscere le AVA negli USA è il TTB (Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau) e un vino può riportare in etichetta l’AVA se almeno l’85% delle uve che lo compongono è stato coltivato nel territorio delimitato in quella specifica denominazione territoriale. Di fatto, è l’unico vero vincolo che ha un produttore americano per apporre in etichetta l’AVA.

Da un punto di vista prettamente legislativo, pertanto, stiamo parlando di uno strumento decisamente più leggero rispetto ai vincoli e controlli imposti dalla normativa sulle nostre denominazioni.

Ma non mi interessa adesso andare ad analizzare le differenze legislative e l’impatto burocratico che ha una DOC o DOCG rispetto ad un AVA; quello che mi preme evidenziare è come, nel tempo, il rapporto tra un vino e il suo territorio di origine è diventato sempre più rilevante nelle scelte dei consumatori americani.

E questo non si può considerare un fattore di poco conto. Anche nel nostro USA Wine Tour abbiamo potuto toccare con mano questo maggiore interesse da parte delle aziende statunitensi e dei consumatori nei confronti dell’origine del vino.

Parte del successo del turismo del vino negli USA è anche da ascrivere alla curiosità di molti consumatori americani per la ricerca delle “radici” dei loro vini. Senza dimenticare che i consumatori americani spesso cercano vini da AVA specifiche per le quali si fidelizzano maggiormente rispetto ai vini generici e sono disposti a pagare prezzi premium e superpremium per questa tipologia di prodotti.

È chiaro che, anche negli USA, non tutte le AVA godono della medesima notorietà, reputazione, posizionamento. Napa e Sonoma Valley, ad esempio, sono due delle AVA più storiche degli USA (sono riconosciute nel 1981) e indubbiamente possono vantare una notorietà molto più elevata rispetto a tante altre.

Ma sono sempre di più i territori del vino americani, soprattutto al di fuori della California (che, con una sessantina di AVA, è la leader su questo fronte), che hanno compreso che rendere più riconoscibile l’origine dei propri vini può essere un fattore strategico nello sviluppo della loro immagine e posizionamento.

A questo riguardo, molto interessanti sono i risultati di un’indagine svolta nel 2016 dalla  Shawnee Hills American Viticultural Area (sita nel sud dell’Illinois) per comprendere il valore aggiunto ottenibile grazie alla propria denominazione.

Dall’analisi emergeva come vi fosse una crescente preferenza dei consumatori per i prodotti regionali o basati sul “terroir”.

“La designazione di American Viticultural Area (AVA) – è riportato nei risultati finali dell’indagine – ha il potenziale per aumentare lo sviluppo dell’identificazione del consumatore con i prodotti vinicoli regionali”.

Ma se questo è vero, come possiamo migliorare la comunicazione delle nostre denominazioni sul mercato americano? I tempi sono maturi, ad esempio, per non limitarsi a comunicare “solo” il Pinot Grigio italiano e iniziare ad evidenziare le diverse aree di origine, almeno quelle più vocate come le “Venezie”?