Mentre in Europa stiamo discutendo sulla questione dei “warning” sui rischi per la salute da inserire sulle etichette dei vini, anche a causa della scelta unilaterale del Governo Irlandese, negli USA un’indagine evidenzia che i consumatori americani vorrebbero “labels” più ricche di informazioni.
L’etichetta di un vino è ormai diventata una delle principali “problematiche” dei produttori di vino – sia per quanto concerne gli obblighi di legge, sia sugli aspetti di natura comunicativa.

Non c’è dubbio, infatti, che l’etichetta sia uno dei più potenti strumenti di comunicazione sia in relazione alla sua immagine grafica che per quel che viene scritto su di essa, compresa ovviamente la contro etichetta.

Le riunioni più lunghe e complesse che, spesso, ho la fortuna di frequentare in numerose aziende del vino sono proprio quelle legate alla scelta, all’analisi delle etichette.
Quella che un tempo era una “semplice” scelta grafica è diventata, oggi, una delle leve di marketing più strategiche anche per garantire un coerente posizionamento del prodotto.

Sbagliare l’etichetta di un vino, anche da un punto di vista comunicativo (che, tradotto, significa dare una non adeguata percezione del suo valore) è uno degli errori più gravi, e ahimè frequenti, sul fronte del marketing. Per queste ragioni, diventa sempre più importante comprendere i fabbisogni dei consumatori rispetto a ciò che viene scritto su un’etichetta.

In questa direzione si inserisce una interessante indagine di BevaAlc, l’osservatorio sui consumi di bevande alcoliche gestito all’interno di Drizly, la più grande piattaforma di vendite online di vino, birra e spirits del Nord America (acquisita nel 2021 da Uber per ben 1,1 miliardi di dollari). Da una loro indagine relativa alle tendenze di consumo di bevande alcoliche per il 2023, è emerso che i loro “clienti” vorrebbero etichette del vino molto più informative rispetto a quelle attuali.

Prima di tutto, vorrebbero note di degustazione molto più chiare ed esplicative (ciò è valido per il 23% degli intervistati). Una richiesta per certi aspetti sorprendente perché spesso noi addetti ai lavori consideriamo addirittura controproducente evidenziare le caratteristiche sensoriali di un vino, che potrebbero non essere percepite dai “normali” consumatori e quindi avere un effetto comunicativo negativo.

Ma un altro 21% degli intervistati ha dichiarato che apprezzerebbe leggere in etichetta il contenuto calorico di quel vino che, come sappiamo, è legato in gran parte al suo valore alcolometrico. Quello delle calorie è un altro tema “caldo” perché se da un lato è noto quanto molti consumatori/trici siano sensibili al tema della dieta, è altrettanto vero che le informazioni dietetiche possono trasformarsi in un temibile deterrente al consumo di una bevanda “calorica” come il vino. Qui entra in ballo un tema trasversale che è quello della trasparenza nelle informazioni da mettere in etichetta, che è fortemente richiesta dal 12% del campione intervistato.

Trasparenza non solo per quel che concerne le calorie ma gli “ingredienti del vino” in senso generale.
Anche quest’ultimo è un tema molto complesso e dibattuto da molti anni considerando che, oltre ai cosiddetti “componenti naturali” (a partire dall’acqua che rappresenta tra l’80 e il 90% del volume, ma anche gli acidi come il tartarico, il malico, il lattico, o gli zuccheri come il fruttosio o il saccarosio), sono circa un’ottantina le sostanze autorizzate per l’uso in enologia. Se quindi volessimo un’etichetta totalmente trasparente, servirebbe un lenzuolo per avvolgere una bottiglia di vino.

Molto interessante, infine, considerare che il 16% degli intervistati oggetto dell’indagine vorrebbe maggiore chiarezza in etichetta riguardo al tema biologico/naturale/sostenibile. Una richiesta assolutamente legittima che, in qualche misura, evidenzia ancora una volta come un “bollino” che garantisce una certificazione ufficiale probabilmente non è più considerato sufficiente da molti consumatori di vino.

Ma è altrettanto vero che riuscire a spiegare in un’etichetta le motivazioni, le azioni che garantiscono che un vino sia biologico, naturale o sostenibile è cosa che dire “ardua” è un eufemismo.

In quest’ultima direzione, sicuramente, inserire dei QRcode in grado di spiegare con maggiore chiarezza i “percorsi sostenibili” di un’azienda (se non addirittura accedere ad un bilancio di sostenibilità per quelle aziende che l’hanno attivato) potrebbe essere la via più percorribile.

Nella speranza che, prima o poi, arrivi una blockchain che garantisca una seria tracciabilità del vino in tutti i suoi segmenti di filiera per dare finalmente risposte concrete, credibili e trasparenti a tutti i consumatori di vino al mondo.