Non ho mai fatto così fatica come quest’anno a commentare i tanti spunti che ho ricevuto durante questo wine2wine 2022. Ho riflettuto sulle ragioni di questa difficoltà e sono giunto alla conclusione che la cosa più utile da fare in questa fase storica è ascoltare il più possibile e più fonti possibili e cercare di far sedimentare bene le informazioni e i dati prima di commentarli.
Anche per questa ragione mi è piaciuto l’intervento di Oscar Farinetti, che aveva un titolo decisamente coerente con il mio stato d’animo attuale e cioè “L’arte perduta di ascoltare”.
Potrebbe apparire una contraddizione, considerando che il relatore forse oggi è uno dei più prolifici comunicatori del vino. Ma io non ho dubbi nell’affermare che se Farinetti oggi è considerato uno dei manager e imprenditori dell’agroalimentare più visionari e illuminati è proprio grazie alla sua capacità di leggere e di ascoltare il mondo che lo circonda.
Per questa ragione, ascoltare Farinetti ti porta a calpestare sentieri mai banali e, soprattutto, intraprendere strade che ti obbligano ad uscire dalle pericolose paludi della cosiddetta “comfort zone”.
Gli spunti forniti da Farinetti sono tantissimi ma adesso mi vorrei soffermare su quello che ritengo più importante e cioè che il mondo del vino non deve avere paura, perché siamo ancora all’alba di un’evoluzione forte dei consumi di vino.
“Tra cinquant’anni ci considereranno fortunati i nostri discendenti – ha detto Farinetti – perché avevamo davanti praterie di crescita dei consumi. E avranno ragione perché oggi, di fatto, più di 2/3 di persone al mondo non consumano vino (anzi, probabilmente sono ancora meno). Per questo, non penso proprio di sbagliarmi affermando che entro quell’epoca andremo almeno al raddoppio dei consumi attuali”.
Non vorrei apparire presuntuoso, ma penso che chi ha avuto la pazienza di leggermi e ascoltarmi in questi anni abbia sentito questa affermazione dal sottoscritto decine e decine di volte.
E questo wine2wine ha confermato questa mia consapevolezza e cioè che non deve essere il mercato a spaventare le nostre aziende del vino.
Certo, questo potrebbe stridere con quanto affermato da Carlo Flamini, responsabile dell’Osservatorio del vino di Unione Italiana Vini, che ha disegnato un quadro fosco per il vino italiano con un 2023 che ci vedrà in piena recessione e con una perdita di fatturato del nostro sistema di circa il 16%. E, se questa è una media, si potrebbe essere tenuti a pensare che ci saranno realtà che perderanno anche il 30% e a quel punto non apparirebbe nemmeno troppo pessimistico immaginarsi la fine di non poche imprese.
Come sempre (almeno, questo è il mio punto di vista), i numeri sono preziosi per comprendere le evoluzioni dei mercati ma poi bisogna provare ad interpretarli e a tradurli in strategie di difesa e di attacco. Sul fronte della difesa, sempre a mio modesto parere, penso che sarebbe un errore ricorrere agli espianti perché ritengo che la dimensione attuale del vigneto Italia non sia incoerente con le dinamiche attuali del mercato e tanto meno di quelle del prossimo futuro.
E non lo affermo per superficiale ottimismo ma semplicemente analizzando quanto siano tutt’oggi poche le realtà produttive italiane che affrontano i mercati (a partire da quello locale) con una struttura, intendo in termini di risorse umane, degna di questo nome.
Il vero punto nodale, la grande debolezza del nostro sistema (lo ripeterò fino alla nausea), è la carenza di competenze e di investimenti adeguati in esse. Fino a quando continuerà ad esserci una sproporzione esagerata tra investimenti in strutture produttive rispetto a quelle in risorse umane, il nostro sistema sarà sempre fragile, anche quando saremo fuori dalle fasi recessive.
Su questo fronte, duole ancora una volta ripetere la scarsa presenza di imprenditori del vino a questa nona edizione di wine2wine, che è nato proprio per offrire alle imprese analisi di settore di alto profilo e, soprattutto, possibili soluzioni.
Ma se anche in fasi complesse come questa un mare di imprenditori e manager del vino italiano, soprattutto quelli che ne avrebbero più bisogno, disertano un evento come wine2wine allora sì che divento pessimista.
Altra osservazione inevitabile è la perdurante frammentazione della rappresentanza del settore vitivinicolo italiano.
Quelle dieci sedie sul palco con i rappresentanti di tutte le organizzazioni professionali preposte a vari livelli a supportare il vino italiano, soprattutto sui tavoli di Bruxelles, è purtroppo un triste e preoccupante specchio della difficoltà cronica di fare sistema del nostro Paese.
Per fortuna, questa osservazione è stata fatta da alcuni di questi rappresentanti che, vedendosi tutti insieme su quel palco di VeronaFiere, si sono sentiti quasi a disagio. “Ho appena scoperto – non ricordo bene chi lo ha detto – che domani saremo tutti a Bruxelles e sarebbe bello sapere se tutti abbiamo le stesse proposte da portare per supportare il nostro settore”.
La risposta in realtà la sappiamo già e, non serve essere dei maghi, è no. Sono ancora poche le visioni comuni e questo, almeno a me, preoccupa molto di più del mercato.
Perché il nostro settore ormai dipende quasi completamente dalle scelte di Bruxelles. Stiamo completando, a questo proposito, una ricerca che ci ha commissionato Ismea sul contributo dato dalla misura per la promozione nei Paesi terzi dell’Ocm Vino e le possibili correzioni attraverso i suggerimenti di aziende, Consorzi di Tutela e vari soggetti nell’attività promozionale internazionale. Ne sta uscendo un quadro molto complesso ma anche prezioso per adattare meglio una misura di questo genere alle esigenze reali del settore. Ma se poi dovranno essere una decina di “sindacati” a trovare una sintesi, si fatica molto ad essere ottimisti.