Andrea Bottarel, giovane Direttore del Consorzio Tutela Lugana DOC, ci ha fornito un quadro significativo e completo delle ragioni e delle scelte che hanno determinato questo successo.

Durante questo periodo emergenziale le aziende che hanno puntato sulla diversificazione dei canali di vendita, ampie gamme e segmentazione dell’offerta hanno avuto riscontri positivi. Secondo Lei, quali sono le strategie più opportune per contrastare la crisi attuale?
Di certo non nuocerebbe rompere un po’ di schemi classici distributivi, soprattutto per chi opera sulla fascia di prezzo media, che spesso ha puntato tutto sul canale Ho.Re.Ca., con presenza in off-trade sparuta e purtroppo spesso non organizzata per far fronte all’attuale emergenza. Sarà opportuno diversificare l’offerta, sia “verticalmente”, integrando distribuzione moderna e online laddove erano assenti, sia “orizzontalmente”, cercando di ampliare il mercato interno e l’export, con tutti i limiti del caso. Ragionevolmente, credo che in questo senso l’assestamento sui nuovi modelli distributivi riguarderà non solo le aziende, ma anche buyer e retailer on e offline: è prevedibile che vi sia, per lo meno da parte delle realtà più strutturate, una ricerca di ampliamento della propria selezione, sia come fascia di prezzo che come denominazione o tipologia. 
Più in generale ritengo che, a prescindere dalla situazione emergenziale, vi sia uno shift nella richiesta del pubblico che, se in una fascia di età sembra premiare i brand riconoscibili e ritenuti affidabili, nei nuovi consumatori sta imparando a esplorare, spaziando geograficamente e stilisticamente. La ricchezza delle selezioni può essere un valore aggiunto, a patto che si lavori bene sulla comunicazione. 

L’emergenza Covid-19 ha scalfito certezze e creato serie difficoltà al nostro comparto. Il Consorzio rappresenta un punto di riferimento per i produttori, quali sono state le maggiori problematiche emerse nel vostro tessuto produttivo di riferimento?
Al di là dello scontato danno di carattere economico, legato principalmente all’interruzione di cashflow a fronte di spese continuative di gestione agronomica e che ha rischiato di mettere in ginocchio realtà molto virtuose e rappresentative del territorio, il problema principale è stato quello di dover gestire un’emergenza “disomogenea” che ha colpito le aziende diversamente in base alla struttura distributiva. Accanto a chi ha faticato a restare a galla c’è stato chi è riuscito persino a migliorare la propria performance. Uno dei grossi problemi è stato quello di riuscire a dare risposte in un momento in cui noi per primi faticavamo a ottenerne da Unione Europea e Stato Italiano. Gli strumenti a disposizione dei Consorzi e del sistema vitivinicolo italiano, in uno scenario così a macchia di leopardo, si sono rivelati macchinosi e limitati, non potendo adeguarsi alle necessità molto diverse di produttori appartenenti alla stessa filiera. 

Che rilevanza ha l’export per voi? Quali sono i vostri mercati principali e come stanno reagendo in questo momento di crisi sanitaria globale?
L’export pesa per circa il 70% del mercato complessivo, con Germania, centro Europa e Stati Uniti a farla da padrone. Complessivamente, la nostra denominazione ha retto bene il colpo e sta attualmente dimostrando una buona ripresa generalizzata, con il mercato tedesco a fare come sempre da traino. Anche gli Stati Uniti stanno dimostrando una buona performance e un ottimo potenziale per il futuro. C’è un po’ di nervosismo sul fronte UK e si nota una certa prudenza a oriente, in Giappone, mercato sul quale vorremmo comunque continuare a scommettere.
Il nome Lugana ha dimostrato di essere diventato un trademark di qualità e di aver un ottimo tasso di fidelizzazione, una caratteristica invidiabile e che ci dà più sicurezza di altri, anche in questo periodo di incertezze.

Secondo i dati che sono stati diffusi da Nomisma Wine Monitor e Nielsen, nel primo semestre del 2020 le vendite online di vino da parte dei retailer del largo consumo sono aumentate del 147%. Ritiene che la crescita della vendita online sia una tendenza momentanea o di lungo corso e come vi state muovendo in tal senso?
Ritengo che una parte della clientela “convertitasi” all’acquisto online sia temporanea, ma la necessità ha di sicuro fatto scoprire le potenzialità di questo canale a una fetta di popolazione che vi rimarrà fedele anche quando non sarà più necessario. Dipenderà, a mio avviso, dall’affidabilità del servizio, dalla selezione proposta e soprattutto da come i potenziali acquirenti verranno guidati nell’acquisto. Mai come oggi la comunicazione è fondamentale e conosciamo bene quali sono i limiti e le sfide di raccontare il vino. 
Continueremo a cercare, come Consorzio, di creare una sintesi efficace del carattere del territorio all’interno della quale ogni azienda potrà inserire la propria narrativa. Non nego però che stiamo esplorando anche la possibilità di progetti collettivi di promozione e vendita online: nella vastità di ciò che offrono i canali digitali, nella quale il singolo rischia di perdersi, comunicare come territorio darebbe senza dubbio maggiore visibilità a tutti. 

Milano Wine Week rappresenta un forte segnale di resilienza per il settore vitivinicolo e per l’Horeca, quali sono le impressioni e le tendenze emerse durante la manifestazione?
L’impressione è che ci sia una grande voglia di andare avanti, nonostante tutti gli ostacoli e lo spettro di nuove chiusure che incombe: a Milano ho trovato un’atmosfera di positività, è emersa la volontà di ritrovarsi e di rinnovarsi. A proposito della diversificazione dell’offerta di cui si parlava, la tendenza mi sembra anche quella di voler uscire dai format tradizionali e spaziare in questo senso, integrando sempre, laddove si può, con modalità digitali. 
Su una cosa in particolare io e il Presidente Gordini ci siamo trovati molto allineati: il mondo del vino non è fatto solo di bottiglie, ma anche e soprattutto di persone che le producono, le degustano e le raccontano, delle quali non bisogna dimenticarsi, perché rappresentano una grande ricchezza. E’ proprio questa ricchezza del vino italiano che, frammentata, ci ha reso deboli come sistema ma, nel momento in cui si riesce a coordinare, ci dà una forza ineguagliabile.  

La visione sul medio-lungo periodo: quali sono le strategie messe in campo dal Consorzio per creare le prerogative e favorire il rilancio post Covid-19? 
Più che favorire il rilancio, direi che il Consorzio si trova in questo momento a doverlo sfruttare e gestire: con una crescita degli imbottigliamenti progressivi che, rispetto allo stesso periodo del 2019, sfiora l’11%, ci sentiamo un piccolo miracolo del panorama vitivinicolo italiano. 
Siamo una piccola denominazione con una grande ricchezza di aziende e un potenziale ancora inespresso appieno: per il futuro continueremo a puntare principalmente su USA e Giappone, mercati all’interno dei quali questa ricchezza può trovare adeguati spazi commerciali. Stiamo strutturando la comunicazione consortile per essere più efficace sui media, con un progetto in particolare che dovrebbe vedere la luce nei primi mesi del 2021, che però non voglio ancora svelare.
Come Consorzio cercheremo di puntare su un maggior numero di eventi che prevedano la partecipazione diretta dei rappresentanti delle aziende, le quali collettivamente sono in grado di rappresentare il territorio meglio di qualunque altra formula. La sfida, se dovessero persistere le limitazioni di mobilità internazionale e organizzazione eventi, sarà di trovare nuovi format per coinvolgere il pubblico in modo efficace, ma dai piccoli progetti pilota di degustazione e formazione virtuale realizzati durante il lockdown abbiamo imparato molto, per cui saremo pronti a mettere a punto nuovi progetti in questo senso, con le giuste collaborazioni.