Si è aperta Prowein 2022 e già questo è una bella notizia, dopo due anni che ci avevano tenuti lontani da quella che possiamo considerare la capitale internazionale del vino con i suoi oltre 7.000 espositori provenienti da ogni regione vitivinicola mondiale.
Sapevamo che la collocazione a maggio della fiera avrebbe causato non pochi problemi agli organizzatori tedeschi perché una manifestazione così prettamente b2b diventa poco appetibile per buyer che, giunti ormai a metà anno, vedono a questo punto della stagione “i giochi già fatti”.
In sostanza, oggi tutte quelle aziende che non avevano pianificato in agenda alcuni appuntamenti hanno visto i loro titolari o manager girarsi i pollici al proprio stand.
Prima di fare bilanci ovviamente bisogna aspettare mercoledì, ma già oggi possiamo affermare, avendo intervistato decine di aziende, che molte di esse avevano potuto pianificare un numero ridotto di appuntamenti rispetto al passato.
Inutile negare, inoltre, che l’assenza dell’Asia si è fatta particolarmente sentire ad un Prowein notoriamente particolarmente importante per quell’area di mercato.
Come pure ha sicuramente inciso anche essere arrivati quest’anno secondi, per la prima volta, dopo Vinitaly.
Ma anche queste riflessioni legate al contingente forse rischiano di occultare un tema che a mio parere deve essere affrontato con coraggio e trasparenza e cioè la riscrittura del modello fieristico. E, sempre a mio modesto parere, non significa “solo” parlare di ibridazione tra fiere fisiche e virtuali ma anche tra manifestazioni utili per le piccole imprese e altre per le realtà più grandi, o eventi b2b dedicati a specifici mercati e/o distributori.
Ormai, infatti, quello che appare certo è la sostanziale fine di fiere “generaliste” dove non si riesce nemmeno ad evidenziare la straordinaria diversificazione del mondo del vino.
È chiaro che il giudizio di quest’anno va filtrato da una situazione congiunturale che definire anomala è un eufemismo, con una pandemia ancora in corso e una guerra la cui fine appare sempre più lontana.
Ma pur mettendo tutti i filtri possibili sarebbe un errore non approfittare di queste fasi di grande transizione e, aggiungo io, di vera e propria rivoluzione dei mercati, dei paradigmi dei consumi, dei modelli di distribuzione, non provare anche a ridisegnare i format fieristici.
Un noto produttore umbro vedendomi mi ha quasi urlato: “Ti deciderai a scrivere che fiere così ormai non servono più!”.
Sarebbe troppo ingeneroso e sbagliato, a mio parere, oggi parlare male di Prowein per quello che ha rappresentato anche per lo sviluppo del business del vino italiano nel mondo.
Non serve dare pareri sull’onda dell’umore del momento anche perché l’analisi deve andare oltre il “semplice” giudizio legato al numero di buyer presenti.
Si deve finalmente provare ad analizzare tutti gli “ingredienti” della fiera compreso il profilo e soprattutto le aspettative delle aziende espositrici.
Dire che ci sono aziende che devono riflettere meglio sulla loro partecipazione ad una manifestazione come Prowein penso sia quanto mai opportuno. Sempre su questo fronte un bravo manager veneto mi ha detto: ”Dobbiamo avere il coraggio di non fare alcuni eventi perché non siamo in grado di sfruttarli nel modo giusto”.
Parole sante che mi auguro abbiano un seguito perché un’azienda matura, un comparto maturo deve saper scegliere le fiere giuste e anche “guidarle” nel modo corretto.
Per questo penso che per certi aspetti la Fiera rappresenti anche lo specchio di un comparto, nel bene e nel male.
Insomma sono convinto che siamo seriamente davanti ad un capolinea, possiamo anche fare finta di non vederlo ma quel cartello è ben visibile e ignorarlo sarebbe grave.
Per il momento mi fermo qui, mercoledì proverò a fare qualche commento in più in relazione anche a dati più certi e pareri di produttori e manager più esaustivi.