Non ci sono tante certezze sulla cosiddetta nuova normalità. Circolano tante ipotesi ma probabilmente la maggioranza di esse si dimostreranno errate quando tutto tornerà “normale”, quando finalmente saremo fuori dalla pandemia. Non tanto perché tutto tornerà come prima quanto perché i cambiamenti non saranno tanto nei comportamenti esteriori quanto nello spirito, nell’anima dei consumatori.

E per capirlo non è necessario, a mio parere, ricorrere a tante analisi psico-sociologiche, ma è sufficiente guardare dentro noi stessi.

In cosa questa pandemia ci sta profondamente cambiando? Nella percezione dei valori. Lo possiamo ammettere oppure no ma penso che quasi tutti abbiamo inevitabilmente dovuto mettere mano alla gerarchia dei nostri valori.

Mettere la salute al primo posto, anche se può apparire una cosa ovvia, sta incidendo in moltissime delle nostre scelte, molto di più di quanto possiamo immaginare.

Si potrebbe obiettare che anche prima della pandemia la salute deteneva il primato dei valori della maggioranza dell’umanità. Sappiamo però che questa era solo una teoria perché in pratica abbiamo continuato sempre a vivere con quel pericoloso senso dell’immortalità.

Covid-19 ci ha sbattuto in faccia, in maniera violenta, la nostra limitatezza e questo altro “virus”, a mio parere però positivo, sta facendo sicuramente il suo lavoro da qualche parte, nella nostra psiche.

Se quindi dovessimo riflettere su quanto questa pandemia inciderà sulle strategie di marketing del prossimo futuro, mi viene in mente prima di tutto una parola: collaborazione.

Collaborazione tra i diversi soggetti della filiera del vino, in primis produttori e “rivenditori” (distributori sia dell’horeca che della gdo), che dovranno (devono) migliorare decisamente le loro relazioni, condividere strategie, individuare insieme nuovi modelli per approcciarsi adeguatamente ai “nuovi” consumatori.

Per la prima volta, almeno nella storia moderna recente, i nuovi consumatori non sono le nuove generazioni (certo anche quelle) ma praticamente tutti noi, nessuno escluso.

Tutti, infatti, siamo stati toccati in varia misura da questa drammatica esperienza sanitaria che ha avuto e sta avendo risvolti su tutti i fronti delle nostre esistenze.

Il principale risvolto, dal mio punto di vista, lo potremmo descrivere sinteticamente con il termine di “diffidenza”.

Siamo diventati tutti più diffidenti, inutile negarlo. È come se il coronavirus non avesse agito “solo” nei polmoni dei tanti sfortunati che hanno dovuto subirlo sulla loro pelle ma anche sul grado di fiducia di tutti.

È come se questo maledetto virus ci avesse dotati di un radar, di antenne molto più alte del passato che ci consentono di non fermarci in superficie, di renderci molto più selettivi e attenti a quello che ci viene proposto.

Questo processo selettivo, è bene sottolinearlo, non è frutto solo della pandemia, ma sicuramente quest’ultima l’ha accelerato in maniera impressionante.

Quindi oggi per costruire brand credibili e autorevoli agli occhi dei consumatori è necessario uno sforzo molto più elevato rispetto anche al recente passato.

E quando ci si trova di fronte a sfide così complesse non si può immaginare di affrontarle da soli.

Non esiste, a mio parere, nessuna azienda del vino, per rimanere nel nostro campo, che da sola è in grado di essere forte, competitiva agli occhi dei nuovi consumatori post pandemici.

Ma lo stesso vale per il ristoratore, l’enotecario, il grande distributore e di qualsiasi altro soggetto coinvolto nella vendita del vino.

Mi ha fatto piacere, a questo proposito, che i miei due editoriali dedicati alla “rivoluzione” nel rapporto tra vino e gdo, abbiano ricevuto commenti positivi anche da parte di alcuni rappresentanti del cosiddetto canale moderno.

È in atto, se prestiamo più attenzione, un dialogo diverso tra produzione e distribuzione. Siamo ancora agli inizi, è vero, ma se abbattiamo definitivamente le ultime barriere, più ideologiche che reali, si potrà finalmente costruire un modo di relazionarsi diverso tra chi produce e chi vende.

Per questa ragione il trade marketing – cioè quella serie di strategie per stabilire una interazione più produttiva tra produttore e rivenditore al fine di intercettare al meglio i fabbisogni del consumatore finale – mai come oggi assume un ruolo chiave per sviluppare il business del vino.

Il trade marketing ha infatti come scopo primario quello di garantire che l’offerta del prodotto sia coerente al soddisfacimento della domanda.

Considerando sia la complessità dell’offerta del vino italiano (la più eterogenea al mondo) e la straordinaria segmentazione della domanda, oggi con le “antenne” sempre più lunghe, trovo fondamentale che produttori e distributori trovino la strada giusta per collaborare, insieme, finalmente.