In questa calda estate mi sono imbattuto in molti report, indagini che cercano di comprendere come si sta evolvendo il mondo, nei suoi molteplici aspetti, in questa fase pandemica ancora così difficile da decifrare.
Sono tantissimi gli spunti di riflessione, forse troppi per poter capire quali sono quelli più realistici ed attendibili. Andate a leggervi, ad esempio, il “The Future Shopper 2021” dell’autorevole società di ricerca americana Wunderman Thompson che è andata ad intervistare oltre 28.000 consumatori di 17 diversi Paesi (peccato non ci sia l’Italia) per analizzare quali sono le attuali e future dinamiche di acquisto. Ma molto interessante e ricchissimo di spunti anche il nostro recentissimo (è uscito il 7 settembre scorso) Rapporto Coop 2021 che è andato ad indagare sui consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani.

L’elenco comunque è lunghissimo perché è chiaro che oggi siamo tutti molto più interessati a comprendere dove sta andando il mondo e, in particolare, come si stanno comportando ed orientando i consumatori. Cosa li guida e cosa li guiderà nel prossimo futuro quando finalmente saremo fuori dall’incubo Covid-19 e le sue innumerevoli varianti.

Oggi ho deciso di prendere come spunto il tema degli influencer, un termine che non piace quasi a nessuno, a partire proprio dagli influencer, ma che ormai è diventato il modo più diretto, più chiaro di indicare colui che è in grado, in qualche misura, di influenzare le scelte dei consumatori o del trade.

In realtà non esistono parametri scientifici per misurare l’efficacia dell’ormai vastissimo numero di influencer a livello mondiale. Sarebbe anche impossibile, probabilmente, dati i tantissimi ambiti in cui essi agiscono attraverso le diverse tipologie di social media (instagram, tik tok, facebook in primis).

Il modo migliore, se non l’unico, per comprendere meglio come il fenomeno degli influencer si stia evolvendo, pertanto, è di osservare come si stanno comportando alcune aziende leader nei diversi comparti. E se parliamo di influencer, il primo comparto che viene in mente è sicuramente quello della moda.
A questo riguardo è uscito un interessantissimo, almeno a mio parere, articolo su voguebusiness.com a firma di Kati Chitrakorn, che già dal titolo mi ha subito incuriosito: “Meet the “genuinfluencers” who don’t want to sell you anything” che si può tradurre con “Incontra i “genuinfluencer” che non vogliono venderti nulla”. Nell’articolo ci sono molte interessanti dichiarazioni tra le quali quella di Hilary Williams Dunlap, vicepresidente senior di Digital Brand Architects (DBA), secondo la quale, la vecchia guardia degli influencer starebbe cadendo in disgrazia: “Il panorama è completamente cambiato riguardo a chi è considerato una persona influente e come definiamo quel termine”, ha detto a Vogue la Dunlap.

Al suo posto, sempre secondo la vicepresidente di DBA si starebbe affermando una nuova classe di influencer definita “geniunfluencer”, capaci di raccogliere follower attraverso la loro autentica competenza, condividendo informazioni “libere”, non condizionate da contributi pubblicitari. I genuinfluencer sono più interessati a condividere consigli, discutere delle proprie passioni e diffondere informazioni imparziali, invece di promuovere un nuovo prodotto o una nuova collezione.

Tendono ad essere notati per il loro contenuto di alta qualità piuttosto che per il numero di follower”, è quanto ha affermato sempre a Vogue, Cassandra Napoli, senior strategist di WGSN Insight.
Gli stessi social network stanno cambiando passando da “spazi di ispirazione a luoghi di informazione e istruzione” utilizzando ancora le parole della Napoli. In questa direzione si inseriscono le piattaforme emergenti come Clubhouse, Discord e Substack che non solo hanno incoraggiato contenuti di maggiore qualità, per i quali le persone sarebbero disposte a pagare, ma hanno anche incentivato un nuovo gruppo di individui che non si possono più definire influencer convenzionali accumulando un notevole seguito grazie al valore e all’autenticità dei loro contenuti.

I genuininfluencer sono cresciuti talmente tanto che se ne sono accorte anche le grandi maison della moda che li stanno “ingaggiando”. Ed è qui che la domanda nasce spontanea: ma quanto riescono a rimanere genuini e autentici questi nuovi influencer? Riescono a rimanere imparziali anche di fronte alla corte di grandi imprese e multinazionali?

Quello che è certo, è che le stesse maison sopra citate hanno compreso che più condizionano i contenuti di questi nuovi influencer più la loro efficacia andrà a spegnersi.
Ed è questo un tema centrale che coinvolge tantissimo anche il nostro amato mondo del vino che da decenni, ormai, soprattutto in Italia, si dibatte sulla necessità di avere una critica enologica forte ed indipendente.

Cercare di indagare quanto oggi l’informazione vitienologica, nel suo complesso, sia “genuina” non è un esercizio facile e probabilmente non ci porterebbe tanto lontano. Quello che però è indispensabile, oggi più ancora che nel passato, è riflettere sull’importanza di avere un’informazione sul vino forte, competente, utile allo sviluppo serio del nostro sistema vitivinicolo. In questa direzione i consumatori di tutto il mondo stanno dando precise indicazioni e tra queste vi è indubbiamente la ricerca di contenuti più autentici, più credibili e più trasparenti. Una richiesta più che legittima che obbliga tutto il nostro settore, compresi media ed influencer, a fare un deciso salto di qualità.

Ma saranno, a mio parere, ancora le imprese che potranno e dovranno guidare questa nuova “rivoluzione”, selezionando anche all’interno del sistema mediatico/informativo con un criterio meritocratico, dove i fattori chiave finalmente dovranno essere la competenza, l’autorevolezza, la credibilità.