In attesa di poter conoscere più dettagli del report di Vitisphere, la cui pubblicazione completa sarà diffusa nel prossimo aprile, è stato molto interessante, e per certi aspetti spiazzante, leggere i primi risultati frutto dell’analisi del censimento decennale del Ministero dell’agricoltura francese.

Dal censimento, che si è tenuto tra ottobre 2020 e il 15 maggio 2021, è emerso come la Francia attualmente conti 59.000 aziende vinicole, 11.000 aziende in meno rispetto al 2010. Di conseguenza si è registrata nel medesimo decennio una perdita del 16% tra vignaioli e viticoltori. Una diminuzione decisamente rilevante che il ministro dell’agricoltura francese Julien Denormandie ha ascritto ad un rinnovamento positivo della struttura produttiva francese dettata dal cambio generazionale e da una maggiore concentrazione delle imprese che in dieci anni hanno visto aumentare di 3 ettari la loro superficie media, passando da 16 a 19 ettari (+19%).

Insomma, le istituzioni agricole francesi sembra non si siano particolarmente meravigliate o spaventate (almeno per il momento) per un calo così rilevante nel comparto più prestigioso del loro settore agricolo. Hanno infatti sottolineato come il comparto vitivinicolo abbia perso comunque meno aziende rispetto a ovi-caprino (-20.000), a quello dei bovini da carne (-15.000) e bovini da latte (-13.000). Complessivamente, l’agricoltura francese ha perso circa 100.000 aziende in 10 anni (-21%).

Per il momento, non sono emersi commenti che leghino questa perdita alle evoluzioni dei mercati di quest’ultimo decennio e, in particolare, di questi ultimi due anni.
L’unico riferimento a quest’ultimo riguardo è il dato relativo alle tipologie di aziende che hanno registrato le maggiori perdite: sono state infatti le piccole e le medie aziende (nella fascia tra 25.000/250.000 euro di produzione lorda vendibile/anno) che hanno visto diminuire nel 2020 la forza lavoro del 21%.

E’ molto interessante e utile osservare quanto è avvenuto nel comparto vitivinicolo francese in quest’ultimo decennio e pensiamo di non sbagliare ritenendo la situazione in Italia non così distante dai cugini francesi. Gli ultimi dati che abbiamo a disposizione (relativi alle rielaborazioni di Ismea sui dati Agea), infatti, sono relativi al periodo 2010/2015 e hanno evidenziato un calo del 27% del numero di aziende vinificatrici, passate da 62.529 a 45.733.
Sempre i commentatori istituzionali francesi parlano di una riorganizzazione della struttura produttiva francese che però non rinnega il “modello agricolo”, ma “semplicemente” cerca di renderlo più “grande” e “razionale”.

Si potrebbe quindi parlare di una sorta di inevitabile evoluzione fisiologica di un modello produttivo che non era più compatibile con le attuali dinamiche dei mercati.
A mio parere, sarebbe tuttavia sbagliato liquidare questa tematica in maniera superficiale perché, come altre volte ho sottolineato, ritengo pericoloso osservare la struttura produttiva italiana solo dal punto di vista dimensionale.
Per questa ragione è urgente avere un’analisi più dettagliata del nostro sistema produttivo: perché da questa fotografia (che non può essere solo legata alla dimensione, ma anche alla struttura organizzativa delle imprese) ne devono derivare anche le misure di sostegno al comparto.

Comprendere, infatti, come stanno reagendo le imprese del vino italiane alle dinamiche dei mercati attuali e del prossimo futuro è indispensabile per avere una visione chiara delle prospettive del settore ma anche, e soprattutto, dei suoi fabbisogni sia in termini economici che di risorse umane (aspetti ovviamente legati tra loro). Senza dimenticare che è essenziale capire meglio anche quali siano le aree produttive che stanno registrando le maggiori perdite in termini di aziende e di forze lavoro.

Non è difficile immaginare, infatti, che nel nostro Paese, così fortemente frammentato dal punto di vista delle strutture produttive ma anche delle denominazioni, ci si possa a breve rendere conto di territori vitivinicoli che si stanno drammaticamente svuotando.
E liquidare questo rischio (che, in alcune aree, è già una realtà) come un inevitabile processo fisiologico non mi sembra una buona cosa e assomiglia tanto a quello struzzo che mette la testa sotto la sabbia.