Mercoledì 15 dicembre è stato presentato il documento finale di Vision 2030, che rappresenta il primo progetto per la definizione di una strategia di sviluppo del sistema vitivinicolo italiano frutto dell’analisi e dell’esperienza diretta sul campo di imprenditori e manager delle imprese del vino del nostro Paese.

Un progetto che nasce direttamente dalla filiera vitivinicola e distributiva con il preciso obiettivo di fare emergere le istanze concrete del settore e di riuscire, di conseguenza, a dare risposte il più possibile coerenti ai reali fabbisogni delle imprese del vino italiano ed in linea con le dinamiche dei mercati e del rapporto con il consumatore.

Dei risultati di questo progetto scriveremo nei prossimi giorni, visti i tanti stimoli usciti dai sei tavoli di lavoro, ma in questo mio articolo vorrei concentrarmi sul modello di approccio di Vision 2030 che, a mio parere, presenta numerosi aspetti “rivoluzionari”.

Il primo di tutti, indubbiamente il più importante, è che per la prima volta le imprese del vino non hanno atteso che fosse la “politica” a far calare dall’alto le soluzioni alle tante problematiche del settore. Un’assunzione di responsabilità molto forte che rompe, secondo me finalmente, lo schema classico a cui siamo abituati che vede la costruzione della politica vitivinicola attraverso un processo di analisi e decisionale che parte dall’alto con uno scarso coinvolgimento dei veri protagonisti della filiera.

Attenzione, lo voglio chiarire bene perché ho avuto la fortuna di partecipare al progetto Vision 2030 fin dalla sua genesi: non si tratta di un atto di protesta nei confronti di chi oggi è coinvolto nella definizione della politica vitivinicola, a partire dalle organizzazioni professionali, ma di una nuova precisa volontà del mondo produttivo di assumersi responsabilità più dirette e trasparenti.

Per quanti anni, infatti, abbiamo assistito al solito schema dove da una parte c’è chi legifera e dall’altra c’è chi contesta gran parte delle scelte fatte (in questo caso il comparto produttivo)?
Quante volte abbiamo sentito manager e produttori lamentarsi di “politiche calate dall’alto”, di “scelte che non tengono conto dei reali fabbisogni delle imprese”?

Siamo onesti: è troppo facile contestare (ed è spesso inutile). Per questo, non si può non guardare positivamente all’esperienza di Vision 2030 dove (per la prima volta in maniera diretta e “mettendoci la faccia”) 23 tra manager e imprenditori della filiera vitivinicola hanno cercato di analizzare i punti di forza e di debolezza del comparto cercando di proporre azioni e soluzioni per garantire la competitività del sistema nel prossimo futuro.

È molto importante, quindi, che questo progetto sia visto in maniera corretta perché può realmente rappresentare una nuova modalità con la quale autorevoli protagonisti della filiera analizzano e danno suggerimenti a coloro che poi hanno responsabilità nel dialogo con le istituzioni.

Non si tratta di bypassare nessuno, ma di avere finalmente un osservatorio costituito da manager e imprenditori (che speriamo si allarghi sempre di più) che si mettono a disposizione per “raccontare” ciò che realmente avviene sui mercati, quali sono le principali problematiche che devono affrontare, quali sono le strategie per capitalizzare le potenzialità delle denominazioni che rappresentano e così via.

Tutti sappiamo, e lo continuiamo a ripetere, che il comparto vitivinicolo ha delle peculiarità assolutamente uniche che lo distinguono da qualsiasi altro settore. Ci sono una miriade di diversificazioni anche in relazione alla tipologia aziendale, alla dimensione, al tipo di mercato e di canale distributivo che si affrontano. Per questa ragione, le politiche vitivinicole non possono non tenere conto di queste diversità e queste ultime possono essere analizzate ed espresse solo da chi le vive quotidianamente.

Non si tratta di facile demagogia ma di sano pragmatismo.

Per questo, c’è da augurarsi che Vision 2030 possa non solo proseguire ma allargare fortemente la sua base di “osservatori” e di stimolare la nascita di una nuova cultura di impresa dove manager e imprenditori finalmente si assumono anche la responsabilità di contribuire maggiormente alla costruzione di politiche vitivinicole utili per il futuro del vino italiano.