Se non fosse che lavoro nel mondo del vino da oltre trent’anni, potrei dirmi meravigliato della contraddizione che anche in questi giorni si sta manifestando nel nostro comparto.
Da un lato, infatti, ascoltiamo quotidianamente produttori che si lamentano delle gravi perdite subite nel 2020 e della lentezza con cui si sta riaprendo il canale horeca, dall’altro in redazione ci arrivano comunicati entusiastici che raccontano una storia totalmente diversa, fatta di fatturati in crescita e di denominazioni che vanno a gonfie vele.
A cosa credere allora? Ma è evidente che siamo di fronte alla solita situazione a macchia di leopardo dove c’è chi soffre seriamente, chi evidenzia una certa stabilità e chi invece, probabilmente una minoranza, sta godendo dell’onda lunga della crescita soprattutto della Gdo. Ma se questo è alquanto scontato, non lo è per nulla la perdurante difficoltà del nostro settore vitivinicolo di raccontare la verità in maniera più trasparente.
E questo, a mio parere, è un peccato non tanto per un aspetto etico quanto perché occultare i dati del settore significa non avere mai la possibilità di monitorare seriamente lo stato di salute del settore e, soprattutto, studiare le corrette misure di supporto alle imprese, alle denominazioni.
Abbiamo denunciato tante volte, ed inutilmente, questa modalità omertosa del nostro comparto vitivinicolo.
Il paradosso è che in “privato” le aziende, ma anche i responsabili dei Consorzi di tutela, ci raccontano storie completamente diverse, spesso drammatiche. Ma quando si cerca di andare in profondità, di avere qualche dato preciso, le informazioni diventano vaghe fino poi a scomparire.
Quando, dunque, persone esterne al nostro mondo del vino ci fanno la domanda: “Ma come sta andando il comparto vino? Qual è stato l’impatto di questa grave pandemia?” non è assolutamente facile dare una risposta.
Certo, guardando i dati complessivi potremmo affermare che le cose nel 2020 non sono andate poi così male e questi primi mesi dell’anno sono abbastanza incoraggianti. Ma stiamo parlando appunto di dati generali, quelli che rientrano nell’ironica poesia “La Statistica di Trilussa”: Me spiego: da li conti che se fanno seconno le statistiche d’adesso risurta che te tocca un pollo all’anno: e, se nun entra nelle spese tue, t’entra ne la statistica lo stesso perch’è c’è un antro che ne magna due.
Messa così, potremmo anche farci una risata; ma se guardiamo seriamente la situazione, non c’è nulla da ridere perché ogni azienda in sofferenza è un grave rischio non “solo” per quell’impresa, ma per l’equilibrio di molte delle nostre denominazioni.
Secondo i recenti dati di Cantina Italia del Ministero delle politiche agricole e forestali, alla data del 30 aprile 2021 le giacenze presenti nelle nostre cantine ammontavano a 52,7 milioni di ettolitri di vino (praticamente la vendemmia dello scorso anno), ai quali vanno aggiunti 5 milioni di ettolitri di mosti e oltre 123.000 ettolitri di vino nuovo ancora in fermentazione.
Rispetto al 31 marzo 2021, si osserva:
- una riduzione delle giacenze del 5,8% per i vini, del 9,9% per i mosti e del 27,9% per i vini nuovi in fermentazione;
- il 57,5% del vino è detenuto nelle regioni del Nord, prevalentemente nel Veneto;
- il 50,8% del vino detenuto è a Dop, il 27,2% è Igp, i vini varietali costituiscono appena l’1,3% del totale. Il 20,7% è rappresentato da altri vini;
- le giacenze di vini a Indicazione geografica sono molto concentrate; infatti, 20 denominazioni contribuiscono al 56,5% del totale delle giacenze.
Se andiamo a guardare le tipologie di vino maggiormente presenti in giacenza, al primo posto troviamo il Prosecco (8,7%), seguito dai vini Dop e Igp della Puglia (5%), della Toscana (3,9%), della Sicilia (3,8%) e il Montepulciano d’Abruzzo (3,5%).
Ma anche questi dati da soli non servono molto per comprendere qual è la situazione reale di molte imprese perché è chiaro che vi sono tipologie di vino capaci di sostenere maggiormente una giacenza prolungata in cantina e altre meno.
A questo riguardo, sarebbe interessante comprendere meglio quanto la giacenza di Prosecco, una tipologia di vino non certo di lungo affinamento, possa incidere sull’economia complessiva di questa denominazione e delle sue imprese.
Ancora una volta, quindi, esortiamo il nostro comparto a dotarsi di strumenti migliori di monitoraggio dello stato di salute delle imprese (ci vuole poco) di quello attuale, perché le politiche di supporto al settore dovranno essere sempre di più coerenti ai reali fabbisogni del sistema.
Basarsi ancora oggi sulle supposizioni, magari anche corrette, non è però accettabile per un comparto economico così importante e strategico per il nostro Paese.
Ma è chiaro che devono essere le imprese per prime ad essere disponibili a mettere a disposizione i loro dati. Ci sono oggi molti strumenti per garantire l’anonimato del dato e non deve quindi essere la paura di “smascherare” le proprie fragilità quello che impedisce di dichiarare i propri risultati.
Purtroppo, questa difficoltà spesso si manifesta anche quando alcune di queste imprese si rivolgono a consulenti che non potranno mai essere utili senza sapere il vero “quadro clinico” dell’azienda.