Per diventare un territorio del vino famoso e riconoscibile è necessario realizzare grandi vini apprezzati dalla critica enologica? O avere un’evidente vocazionalità alla produzione di vini di qualità?

La risposta che arriva dal nostro Wine Tour negli USA è assolutamente no. Abbiamo visitato oltre cento cantine in dodici diversi Stati e solo poche di esse erano inserite in territori che potremmo definire ad alta vocazione vitivinicola. Ma sono numerose anche le aziende che, pur trovandosi in territori dalla buona vocazionalità, non puntano a farsi apprezzare sul versante enologico bensì sull’appeal enoturistico, sulla capacità di accoglienza.

È quest’ultimo il fattore più interessante che ci portiamo a casa e che può essere, a mio parere, molto utile per lo sviluppo del turismo del vino nel nostro Paese.

Non solo: riteniamo questo fattore decisamente determinante per fare emergere finalmente molte delle nostre denominazioni che oggi sono pressoché sconosciute o non prese in considerazione dalla critica enologica.

Ma prima di entrare nel cuore di questa tematica che ritengo realmente strategica e, passatemi un po’ di presunzione, anche rivoluzionaria, ritengo sia importante fare un passo indietro.

Fino ad oggi, infatti, in quella che potremmo definire la vitivinicoltura moderna, il fattore che rendeva una denominazione nota, prestigiosa a livello internazionale era il riconoscimento ufficiale da parte della critica enologica.

Pensate, ad esempio, al famoso “Giudizio di Parigi” del 1976 che accreditò i vini californiani che “sfidarono” i grandi vini di Bordeaux e della Borgogna.

Senza dimenticare l’importanza dei rating del grande Robert Parker per far conoscere al nuovo mondo i vini di Bordeaux.

E, venendo al nostro Paese, non possiamo scordare il ruolo del riconoscimento dei “Tre Bicchieri” nello sviluppo della reputazione di nostre numerose denominazioni.

Non è un caso, quindi, che gran parte dei Consorzi di Tutela, nel ricercare un aumento di reputazione della propria denominazione, cerchi di stringere le relazioni migliori con la critica enologica augurandosi di “portare a casa” quella notorietà tanto anelata.

Gli USA, e non solo, ci stanno insegnando che la notorietà, la reputazione ma anche la sostenibilità economica di un territorio produttivo si possono ottenere anche (anzi, soprattutto) grazie all’apertura delle aziende, alla loro ospitalità; insomma, allo sviluppo del turismo del vino.

E quindi quella che noi per tanto, troppo tempo abbiamo considerato un’attività complementare (anzi, quasi marginale) alla produzione, per molti territori del vino a livello internazionale è la chiave principale del successo.

Per certi aspetti, possiamo definire questa osservazione una sorta di “uovo di Colombo”, nel senso che avevamo da tanti anni davanti agli occhi questa palese evidenza.

Eppure ho avuto bisogno di Ian Rynecki, general manager di Pippin Hill (una delle aziende più attive in enoturismo in Virginia) per aprirmi gli occhi.

Seduto al tavolino e degustando alcuni dei loro vini discreti, ma non certo eccelsi (tra l’altro ho scoperto più tardi che non sono loro a vinificarli), e osservando un paesaggio a dir poco straordinario, assolutamente incontaminato, gli ho chiesto: “Ma come è possibile che la Virginia sia diventata così nota nel panorama viticolo, con un numero di aziende sempre crescente (oggi hanno abbondantemente superato le 300 unità)?”.

“Sicuramente sono stati importanti alcuni produttori europei che, negli anni ’70, hanno edificato in questo territorio (la famiglia Zonin è tra queste, con l’acquisto di Barboursville Vineyards nel 1976, ndr); ma quello che ha cambiato realmente la storia di questo territorio è stata la decisione di aprire le aziende al pubblico, ai turisti”.

Ma allora è possibile non essere una grande terra del vino e diventare comunque un territorio importante, appetibile, attrattivo.

La risposta è in numerosi territori degli Stati Uniti. La Virginia sicuramente è tra gli Stati dove la vocazionalità vitivinicola è superiore ad altre aree, come quelle del Midwest (Arkansas, Missouri, Kentucky, Oklahoma, Indiana), ad esempio, che hanno puntato tutto sull’appeal enoturistico attraverso vini prodotti con uve acquistate in gran parte tra California e State of Washington.

Ma, grazie al turismo del vino, anche gli Stati che fino a poco tempo fa erano assolutamente marginali nel panorama della vitivinicoltura mondiale si stanno ricavando un loro spazio (soprattutto dal punto di vista economico).

E allora ho pensato a quante denominazioni italiane oggi “sconosciute” potrebbero trovare finalmente la giusta notorietà e reputazione, ma anche maggiore sostenibilità economica, grazie allo sviluppo enoturistico.

Nel prossimo editoriale mi permetterò di fare alcuni esempi concreti al riguardo.

Nel frattempo ci spingiamo verso i Finger Lakes nello Stato di New York per visitare le ultime aziende del nostro faticoso ma entusiasmante USA Wine Tour.