Gli abitanti di Kathmandu, la capitale del Nepal, sono oltre 1,5 milioni ma potrebbero anche essere di più vista la straordinaria crescita negli ultimi settant’anni (erano 150 mila abitanti nel 1950). Ma, se conosciamo più o meno il numero di abitanti, è ancora sconosciuto quello dei cani randagi che, assieme al concerto di clacson di moto e auto, sono la colonna sonora della capitale del Nepal con il loro abbaiare continuo.

Era da molti anni che volevo venire in Nepal ma, per varie ragioni, il viaggio veniva rimandato di anno in anno. Quest’anno ce l’ho finalmente fatta e, proprio grazie ai cani di Kathmandu, ho compreso bene le ragioni di questa mia attrazione verso il Nepal. Ma essi mi hanno dato anche un prezioso insegnamento.

Innanzitutto, quando si parla di cani randagi, si pensa ad animali malnutriti e sporchi che danno un’idea di forte degrado ai luoghi dove sono presenti. La maggior parte dei cani randagi di Kathmandu non rispecchia minimamente questo cliché, al punto che trovo sbagliato definirli “randagi” in quanto sono i guardiani della loro città e testimoniano quotidianamente il valore della libertà.

Sono costantemente coccolati e nutriti dagli abitanti, sia dai ricchi che dai poveri, forse addirittura di più da questi ultimi. Non danno quasi mai cenni di aggressività se non nei confronti dei pochi cani al guinzaglio dei loro proprietari. Si scagliano spesso verso queste povere bestie al guinzaglio che hanno il solo torto, ai loro occhi, di essere schiavi del loro padrone.

Per loro, infatti, la libertà è la cosa più importante. Anche quando vengono coccolati concedono un tempo specifico perché poi c’è sempre qualcosa di diverso, di più interessante che richiama la loro attenzione.

Si muovono in branco ma frequentemente anche da soli. Dormono moltissimo anche in mezzo alle trafficate strade di Kathmandu, incuranti del pericolo. Hanno sguardi di grande orgoglio canino. Sono quasi tutti belli e anche quelli che lo sono meno hanno un aspetto sempre nobile, regale.

I cani di Kathmandu danno sempre la sensazione di avere una psiche solida, senza nessuna forma depressiva dettata da pericolosi attaccamenti. Se Jacques Lacan, uno dei maestri della psicoanalisi, diceva di prendere esempio dal gatto, dal suo senso di libertà, probabilmente non era mai stato a Kathmandu. Se ci fosse stato, avrebbe sicuramente incluso i cani della capitale nepalese come ottimo esempio per gli umani condizionati da legami asfissianti.

Insomma, penso che i cani di Kathmandu mi abbiano spiegato bene il valore della libertà e come essa sia la prerogativa più importante che abbiamo e per il quale si possono pagare prezzi elevati.

I cani di Kathmandu mi hanno fatto comprendere, in particolar modo in una fase così complessa come quella attuale, anche per il nostro mondo del vino, che non dobbiamo avere mai paura di dire, di scrivere quello che pensiamo.

In questi giorni sto ricevendo molti messaggi da produttori e colleghi che si sono complimentati per il mio ultimo editoriale dove denunciavo le follie della nostra burocrazia, del nostro “legislatore” che è riuscito a rendere ancor più inutilizzabile una misura come l’OCM vino promozione Paesi terzi che rappresenta uno strumento importante per il nostro export vitivinicolo.

Molti hanno evidenziato che “finalmente una persona ha avuto il coraggio di scrivere la verità”. Ma dire la verità non deve apparire un atto eroico o speciale, ma un semplice dovere.

I cani di Kathmandu non hanno paura di non avere un padrone che li accudisce e abbaiano senza freni tutta la notte.

Quando, dopo una notte insonne a causa dei continui schiamazzi canini, ho chiesto al monaco buddista che ci aveva accolto nel suo monastero: “Ma come fate a dormire con tutti questi cani che non smettono di abbaiare?”, lui serafico mi ha risposto: “I nostri cani randagi ci ricordano sempre, anche di notte, che c’è un mondo fuori dalle nostre case”.

Preparatevi, allora, perché Wine Meridian non vuole smettere di “abbaiare”.