La Brexit fa ancora parlare di sé e chissà per quanto ancora. Il recente annuncio del Primo Ministro britannico Theresa May di voler abbandonare il mercato unico europeo lascia gli operatori del settore Wine & Spirit ancora ad interrogarsi su quali saranno realmente gli scenari futuri per il secondo mercato d’importazione di vino al mondo, il terzo per l’Italia in termini di valore. A maggior ragione dopo la sentenza emessa martedì scorso dalla Corte Suprema, in base alla quale il Governo non può deliberare sul tema Brexit senza prima consultare il Parlamento, pena l’incostituzionalità.
Il settore Wine & Spirit congiunto in UK vale oltre 45 miliardi di sterline e genera più di mezzo milione di posti di lavoro. Non stupisce dunque la cautela con cui il Governo conservatore di Theresa May, incaricato di guidare il Paese attraverso il delicato processo di uscita dall’UE, si espone su questo fronte. Se è chiara l’intenzione di abbandonare il mercato unico europeo, infatti, non sono ancora state definite le condizioni con cui verranno mantenuti i traffici commerciali da e verso il Continente.
Secondo i dati forniti dalla Wine & Spirit Trade Association (WSTA), il Regno Unito è il secondo più grande mercato d’importazione di vino sia in termini di volumi che in termini di valore, con un 55% delle importazioni provenienti da paesi dell’Unione Europea. E l’Italia, insieme alla Francia, è il principale Paese esportatore di vino Oltremanica. Secondo i dati presentati da Jinglin Zhang di Berry Bros. & Rudd allo scorso Wine2wine, il 21% di vini importati britannici provengono dal nostro Paese (55% spumanti, 21% bianchi, 14% rossi). Cresce il Pinot grigio, così come cresce l’interesse per le varietà meno conosciute, dall’Arneis al Pecorino, dal Sagrantino all’Aglianico. A fronte di un segno meno nell’off-trade (su cui grava la flessione dei rosè e dei rossi), si registra una crescita positiva nell’on-trade, il quale nella sola Londra ricopre una quota di mercato del 51% in volume e del 58% in valore, che deve considerarsi l’incubatore ideale per il fenomeno della premiumisation del consumatore britannico (di cui già avevamo parlato
qui) e che quindi potrebbe forse porre rimedio all’ormai cronico problema dei prezzi troppo bassi del vino italiano in UK.
Nonostante il roboante annuncio del Primo Ministro, avvenuto la scorsa settimana, di voler procedere con quella che viene definita la “hard Brexit”, i dettagli sono ancora tutt’altro che chiari. Se da un lato la May ha dichiarato la volontà del Governo di lasciare il mercato unico, dall’altro ha anche affermato di voler mantenere degli accordi doganali con gli Stati dell’Unione in modo da garantire un’agevole circolazione delle merci tra l’Isola e il Continente, senza però rendere note la forma e le tempistiche previste per tali accordi. Così come ignoti sono i particolari circa la posizione dei cittadini europei attualmente impiegati in Gran Bretagna, molti dei quali proprio nel settore del vino e della ristorazione.
Ad aggiungere un ulteriore colpo di scena a questa già intricata vicenda ci pensa ora una sentenza della Corte Suprema britannica. Il suo presidente, il giudice David Neuberger, ha dichiarato che “il Governo non può invocare l’articolo 50 (del Trattato di Lisbona, in forza del quale uno Stato membro può decidere di lasciare l’UE, ndr) senza l’approvazione del Parlamento” perché altrimenti sarebbe “una violazione della Costituzione”. Il Parlamento, che prima del voto del 23 giungo era in maggioranza contrario alla Brexit, non potrà ignorare il voto popolare, ma potrà negoziare i termini di uscita dall’Unione, inclusa la permanenza nel mercato unico.
La WSTA, dal canto suo, si è impegnata in un confronto aperto con il Governo per trovare una soluzione che non vada a gravare sul settore e ha di recente pubblicato un documento dal titolo
WSTA Brexit Policy Paper.
L’aumento dei prezzi, soprattutto dovuto alla svalutazione della sterlina, è una delle maggiori minacce da affrontare, benché i principali retailer siano ben lontani dal voler creare allarmismo su tale questione. Un rappresentate di Majestic Wine ha dichiarato a Decanter.com: “Majestic non sta pianificando alcun drammatico aumento dei prezzi per il prossimo futuro. Gli aumenti nel mercato ci sono già stati, ma nel complesso hanno inciso in maniera microscopica sui consumatori”.
Sebbene molti pensino che la sua lunga tradizione di importazione e consumo di alcolici, a prescindere dalle più disparate condizioni politico-economiche, metta al riparo la Gran Bretagna da forti cambiamenti, è innegabile che la scelta preferita, quella della “hard Brexit”, avrebbe delle sicure conseguenze sul suo ruolo all’interno dell’industria del vino. Ciò che è certo però è che i contorni di questa vicenda sono oggi meno chiari che mai e che i tempi di attuazione si preannunciano ben più lunghi del previsto.